Taiwan: indipendenza o unificazione con la Cina? Una questione ancora irrisolta

Sofia De Cesari - 31/08/2022

Taiwan è stata sotto il controllo degli imperi cinesi circa due secoli, dal 1661 al 1895, e dopo essere stata colonizzata dal Giappone tra il 1895 e il 1945, finì sotto l’amministrazione della Repubblica di Cina, fondata nel 1912 nella Cina continentale al tramonto dell’era imperiale con Sun Yat-sen primo presidente[1]. Nel 1949, dopo una lunga lotta interna tra i comunisti di Mao e i nazionalisti di Chang Kai-Shek, il Partito Comunista prendeva il potere, costringendo gli sconfitti a rifugiarsi sull’isola di Formosa[2]. Da allora le relazioni tra le “due Cine” sono state sempre conflittuali, almeno fino alla metà degli anni Ottanta quando le riforme economiche avviate a Pechino hanno coinciso con una ripresa delle relazioni economiche e commerciali fra la Cina popolare e Taiwan. Nel 1992 poi, con un accordo, il “Consenso del 1992“, i rapporti vennero mitigati fino a portare ad un importante livello di integrazione dei sistemi produttivi. La «questione di Taiwan» – e cioè della sovranità e rappresentanza internazionale dell’isola – sembrava quindi passata in secondo piano. Tuttavia, all’inizio del 1996 la decisione dei dirigenti di Taiwan di tenere le prime vere elezioni presidenziali sull’isola, e la scelta conseguente di Pechino di svolgere esercitazioni militari poco lontano dalle sue coste per ribadire la sovranità sulla provincia ribelle, hanno mostrato che tale questione è ancora di attualità.

In realtà la «questione di Taiwan» ha oggi un significato diverso di quello che ha avuto fino agli anni Settanta. Allora il governo di Chang Kai-Shek avocava a sé la sovranità su tutta la Cina – (da qui il nome ancora ufficialmente in uso di Repubblica di Cina per indicare Taiwan), – mentre, oggi, il contrasto nasce dall’aspirazione di Taiwan verso un riconoscimento internazionale de iure della propria indipendenza. Questo spostamento di prospettiva non rende la questione meno problematica. Anzi; se dopo il riconoscimento della Cina popolare da parte degli Stati Uniti (1979), la pretesa di Taiwan di rappresentare il vero governo della Cina era diventata solo formale e priva di ogni mordente, la nuova strategia diplomatica di Taipei è considerata invece insidiosa da parte di Pechino, anche se non sembra destinata a conseguire risultati clamorosi. La posta in gioco nella ridefinizione dei rapporti fra l’isola ed il continente cinese è assai alta sia per gli equilibri regionali ed internazionali sia per le vicende interne cinesi.

Da quando Xi Jinping[3] è salito al potere ha cominciato a rivendicare un ruolo di primo piano per il proprio Paese, la cui influenza non doveva essere limitata a una misera fetta di Estremo Oriente, ma estesa oltre i confini del continente asiatico verso il resto del mondo. Un obiettivo ambizioso, ma perseguibile. Ad oggi la Cina è pienamente integrata nei processi economici e altamente competitiva in tutti i settori. Tra gli obiettivi futuri indicati da Xi Jinping durante il suo discorso tenuto lo scorso anno per commemorare i 110 anni della rivoluzione ispirata da Sun Yat-sen, che nel 1911 ha portato alla caduta del Celeste Impero, e dato vita alla Repubblica di Cina, la riunificazione con Taiwan ha un ruolo primario. “La Cina realizzerà la riunificazione con Taiwan, e chiunque cerchi di dividere il Paese non farà una bella fine”, con questo durissimo monito si era pronunciato il presidente cinese sulla questione dell’isola in occasione del centenario del Partito Comunista Cinese.

Ad oggi, la situazione è totalmente cambiata. Il mare è tornato centrale e il nuovo “imperatore comunista” è convinto che la sua Cina riuscirà a vincere i suoi fantasmi. Per Xi Jinping, “novello Mao” del XXI secolo, la riunificazione con Taiwan non è solo una questione nazionale, è una cosa necessaria: è l’unico modo per superare il “secolo delle umiliazioni”, cioè quel periodo compreso tra il 1839 e il 1949, cioè tra la prima guerra dell’oppio e la fondazione della Repubblica Popolare. In quel periodo la Cina perse la sua sovranità a vantaggio delle grandi potenze occidentali e del temibile impero giapponese[4]. Per Pechino, Taiwan rappresenta l’ultimo tassello sulla strada del “ringiovanimento nazionale”, il processo storico avviato dal Partito comunista per superare il secolo delle umiliazioni. Dopo aver normalizzato Hong Kong, a Pechino manca la soluzione del dossier taiwanese. Ma oltre alle motivazioni squisitamente politiche, legate all’orgoglio e al nazionalismo (il topos della riunificazione è propagandisticamente centrale nella narrazione cinese), l’annessione di Taiwan, che Xi Jinping vorrebbe realizzare entro il 2049, è legata anche a motivi puramente economici e strategici, dato che con l’annessione dell’isola di Formosa la Cina farebbe un passo decisivo nella guerra tecnologica. Taiwan, infatti, è la ventunesima economia al mondo ed è la patria della produzione dei semiconduttori, della quale Tsmc ne è il campione. Infatti, dai dati del secondo trimestre 2022 si scopre che l’azienda possiede il 52,9% del mercato nel settore della fabbricazione e dell’assemblaggio. Un ulteriore motivo che rende cruciale Taiwan è la sua posizione strategica. In effetti, è risaputo che l’isola sia uno dei principali snodi logistici dell’Asia orientale. In primis perché garantisce la libera circolazione delle navi statunitensi. Inoltre, la sua collocazione permette alla marina degli Stati Uniti di contenere l’influenza marittima cinese in un raggio d’azione ben delimitato. Da diversi anni Cina e Stati Uniti sono impegnati in un confronto politico, economico e strategico per la leadership globale. Assieme alle Filippine, Taiwan costituisce una “muraglia” naturale che permette agli Stati Uniti di tenere sotto controllo le rotte asiatiche, impedendo lo sbocco alla marina cinese nel bacino del Pacifico Orientale. La Cina, nel caso in cui ponesse fine all’autonomia di Taiwan, potrebbe rompere questa catena e proiettare la sua flotta, la più numerosa del mondo, ben oltre le “colonne d’Ercole” posizionate dagli americani[5]. Da decenni è la marina degli Stati Uniti che domina le rotte oceaniche dall’oceano Pacifico all’Atlantico, garantendo la libera circolazione delle merci nell’ottica della globalizzazione. Difendere a tutti i costi la sicurezza delle rotte è fondamentale per il mantenimento della leadership globale e gli americani, per questo motivo, hanno creato un cordone di sicurezza economico e politico attraverso alleanze militari, accordi commerciali e di difesa. Ma a partire dai primi anni duemila, quando la Cina si è prepotentemente riaffacciata sulla scena politica mondiale, sono emerse le prime preoccupazioni americane. Gli Stati Uniti, infatti, sanno benissimo che la Cina punta al controllo del Mar Cinese Meridionale per scompaginare i piani di Washington e imporsi nello scacchiere più strategico e caldo dell’intero pianeta. A questo proposito, la presenza di un bastione democratico come Taiwan è fondamentale per gli Stati Uniti. Oltre a fungere, come detto, da barriera naturale allo strapotere militare cinese, la piccola isola di Formosa è anche il famoso ago della bilancia nella guerra tecnologica tra Stati Uniti e Cina. Garantirne l’indipendenza è, quindi, fondamentale per la superpotenza americana.

Da inizio agosto sono state più di 600 le incursioni di aerei cinesi nello spazio aereo taiwanese. Quasi quanto il totale dei sette mesi precedenti. Rapidi voli sopra le acque taiwanesi, che segnalano un radicale cambio della posizione cinese nello Stretto. Inoltre, il ministero della Difesa ha rivendicato il lancio di 11 missili a est dell’isola, mentre 15 aerei e alcune imbarcazioni hanno attraversato la linea mediana dello Stretto (il confine non ufficiale che separa le acque cinesi da quelle taiwanesi). La risposta di Taiwan non si è fatta attendere: ha annunciato un aumento di quasi il 14% della propria spesa militare nella legge di bilancio per il prossimo anno da destinare al settore della Difesa. Includendo anche un fondo speciale per nuovi caccia, il bilancio della difesa di Taiwan raggiungerebbe così i 19,4 miliardi di dollari (contro i 293 miliardi di Pechino), pari al 2,4% del PIL. Ad innescare questa escalation di tensioni nelle relazioni tra Pechino e Washington, già ai massimi storici, è stata la visita di Nancy Pelosi a Taiwan lo scorso 2 agosto. La tappa della speaker della Camera nell’ambito di un viaggio in Asia ha provocato un vero e proprio terremoto politico tra le due sponde del Pacifico: dopo aver incontrato la presidente Tsai Ing-wen e una delegazione del parlamento di Taipei, Pelosi si è intrattenuta con un piccolo gruppo di attivisti pro-democrazia ed è stata insignita della più alta onorificenza civile di Taiwan prima di ripartire alla volta di Seul. “La determinazione dell’America di preservare la democrazia, qui a Taiwan e ovunque nel mondo, resta a prova di bomba”, aveva detto Pelosi durante una breve conferenza stampa che ha fatto infuriare i vertici di Pechino imbarazzando non poco quelli di Washington. La posizione espressa, infatti, è sembrata collidere con l’adesione al principio di “una sola Cina”, con cui gli Stati Uniti riconoscono la Repubblica Popolare come unico legittimo stato cinese, anche se Washington sostiene militarmente Taipei almeno dal 1979[6].

Le notizie di queste ultime settimane relative agli schieramenti di navi e aerei militari cinesi intorno a Taiwan che si tiene pronta a difendersi possono essere lette come il frutto di una strategia di forte interesse cinese per Taiwan e non come l’inizio di una guerra, perché attualmente sono remote le possibilità per la Cina di occupare rapidamente l’isola. Beatrice Gallelli, ricercatrice presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI) dove si occupa di studi relativi all’Asia e, in particolare, alla Repubblica popolare cinese, alla politica estera cinese, ai rapporti Italia-Cina ed Europa-Cina, ritiene, infatti, che la classe dirigente della Repubblica popolare cinese non ha alcun interesse a portare avanti un’invasione armata in questo momento, perché attualmente ci sono altre priorità, a partire dalla strategia «zero Covid» che non sta funzionando benissimo, portando con sé strascichi sia economici che in termini di malcontento popolare. Galelli sostiene che oltre alla politica interna, nemmeno quella internazionale va a gonfie vele: come si vede dai rapporti Cina/Stati Uniti, ma nemmeno i rapporti con l’Europa sono rosei. E anche se il mondo non si ferma a Stati Uniti e Europa, è anche vero che quest’ultima rappresenta il primo mercato per l’esportazione di merci cinesi. Avere una situazione di tensione con l’Europa non è certo qualcosa che la Cina auspica, anche se si è materializzata negli ultimi anni e aggravata negli ultimi mesi con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia[7]. La Cina, quindi, ha una serie di questioni interne da gestire, e delle dinamiche economiche con l’Europa e gli Stati Uniti da preservare: ecco perché invadere militarmente Taiwan non è in cima alle priorità, afferma Beatrice Galelli.

Rispetto agli anni scorsi, quindi, in realtà qualcosa è cambiato. Infatti oggi non si esclude l’uso della forza. Tuttavia, questo non significa che la forza sia lo strumento con cui questa “riunificazione” verrà messa in atto. La questione taiwanese è sempre stata un aspetto cardine del progetto di ringiovanimento e rinascita della Nazione cinese: un sogno che Xi Jinping vorrebbe concretizzare entro il centenario dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese, perché il fatto che Taiwan appartenga alla Cina non è mai stato messo in discussione.

[1] Lorenzo Lamperti, Perché Taiwan è così importante?, Wired, 2022, reperibile al sito: https://www.wired.it/article/taiwan-cina-stati-uniti-microchip/

 

[2] Nome dato intorno alla metà del 16° sec. dai Portoghesi all’isola, situata tra il Mar Cinese Orientale e il Mar Cinese Meridionale, a 150 km dalle coste della Cina, corrispondente all’attuale Taiwan

 

[3] Xi Jinping è un politico e militare cinese, segretario generale del Partito Comunista Cinese (PCC) e presidente della Commissione militare centrale (CMC) dal 2012 e presidente della Repubblica Popolare Cinese (RPC) dal 2013.

[4] Donatello D’Andrea, Perché Taiwan è così importante nella competizione tra Cina e Stati Uniti, Libero pensiero, 2022, reperibile anche al sito: http://www.liberopensiero.eu/17/02/2022/esteri/taiwan-competizione-cina-stati-uniti/

 

[5] Ibid.

 

[6] Alessia De Luca, Taiwan: sfida sullo Stretto, Ispi, 2022, reperibile anche al sito: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/taiwan-sfida-sullo-stretto-36003

 

[7] Rosaria Imparato, Ecco perché la Cina non attaccherà Taiwan, Money, 2022, reperibile al sito: https://www.money.it/cina-non-attacca-taiwan-perche