L’occupazione di spazi virtuali: il cybersquatting
Il cybersquatting è una vera e propria violazione di un dominio Internet già esistente. Tale pratica, di contraffazione online, consiste nella registrazione di un’estensione di un indirizzo Internet già presente, ad opera del cybersquatter, per svariate intenzioni illecite, alcune delle quali rientrano nella volontà di vendere il dominio al proprietario del marchio originale ad un prezzo superiore; nell’attirare traffico sul sito web per guadagnare soldi dalla pubblicità o dal marketing affiliato; nell’utilizzo il dominio come tramite per altre azioni illegali e, da ultimo, nel rovinare la reputazione di una persona o di un’azienda.
Nei casi in cui, invece, il malintenzionato compri intenzionalmente un nome di dominio scritto male e ricongiungibile ad un noto marchio registrato, sta commettendo typosquatting. Questa sottocategoria del cybersquatting consiste nel modificare un dominio esistente rendendolo simile, o apparentemente identico, a quello di un marchio registrato.
Un ulteriore caso di azione illecita, connessa al cybersqautting, è il namejacking o brandjacking, pratica che consiste nell’acquisto di domini contenenti il nome di una celebre persona o di un marchio ben noto al fine di dirigere le ricerche online, su tale soggetto o brand, verso un altro sito, sovente malevolo e con la probabile intenzione di truffare gli utenti[1].
L’affaccio nel panorama cyber di tale atto di pirateria[2] non può esimerci dal domandarci se vi sia o meno una normativa ah hoc contro il cybersquatting. Volendo appunto approfondire è doveroso citare il primo regolamento contro il cybersquatting emanato nel 1999 negli USA: Anticybersquatting Consumer Protection Act. L’efficacia di tale regolamento, tra l’altro, ha mostrato subito i suoi effetti dal momento che il primo caso di registrazione abusiva di un nome a dominio su Internet è avvenuto dopo pochi mesi. Nel caso specifico, il soggetto reclamante ha depositato la questione presso il Centro di arbitrato e mediazione dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI) ai sensi della politica adottata dalla ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers).
Quest’ ultima è una società volta ad amministrare e a coordinare il sistema di assegnazione univoca di nomi di dominio e indirizzi IP e delle politiche per garantire la sicurezza e la stabilità di Internet. Secondo la politica dell’ICANN, infatti, affinché si possa parlare di dominio irregolare devono sussistere i seguenti presupposti:
- l’intenzione malevola, da parte del cybersquatter, nella registrazione del domain name;
- il nome del dominio deve essere identico o quantomeno confondibile con il marchio del ricorrente;
- la dimostrazione, da parte del ricorrente, di avere un diritto sul nome a dominio oggetto della controversia.
Nel panorama italiano, invece, momentaneamente manca una normativa specifica, tuttavia, la giurisprudenza fa prevalentemente appello sia al diritto civile sia a quello penale. Nel primo caso vengono contemplati il diritto al nome disciplinato dall’art. 7 c.c. e la normativa dei marchi e dei segni distintivi, ex artt. 2569 – 2574 c.c.; in ambito penale, invece, si fa rinvio al reato di contraffazione, disciplinato dall’art. 473 c.p.[3].
[1] Focus on Cybersquatting: monitoring and analysis, EUIPO European Union Intellectuale Property Office, may 2021, www.euipo.europa.eu.
[2] A cura di Cultur-e, www.fastweb.it.
[3] Ministero della Giustizia, maggio 2015, www.giustizia.it.