Le Private Military Security Companies: inquadramento legale e lo stato dell’arte nel mondo e in Italia
Le Private Military Security Companies (PMSC, abbr. Ingl.), ossia le Compagnie Militari di Sicurezza Privata, sono aziende (talvolta anche quotate in Borsa), che forniscono servizi specialistici di sicurezza armata e personale combattente, i cui impiegati sono definiti in gergo contractors, “appaltatori”. Le mansioni svolte da queste compagnie sono equiparabili a quelle effettuate dagli eserciti e dalle forze di polizia nazionali poiché, nella grande maggioranza dei casi, esse impiegano proprio militari in congedo ed ex appartenenti alle forze speciali, al fine di dotarsi di professionisti dall’alto background e know-how, sia tecnico che culturale, per costituire la spina dorsale dell’azienda. Spesso le PMSC offrono protezione a personale politico e civile che vive e lavora in zone geografiche a rischio o a forte criticità, nonché a imprese statali o private quivi operanti. Inoltre, tali compagnie, possono fungere da vero e proprio supplemento alle forze armate regolari di un Paese e svolgere compiti di supporto a queste ultime.
Storicamente, le PMSC nascono agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso, fino a sperimentare una crescita esponenziale dagli anni che vanno dai primi 2000 (l’apice della “War on Terrorism” di “Bushiana memoria”) ad oggi. È importante notare, inoltre, come molte volte tali compagnie di sicurezza vengano anche utilizzate come vera e propria longa manus dei vari Stati nazionali al fine di raggiungere i propri interessi in fatto di politica estera; laddove, infatti, un approccio militare diretto ed ufficiale sarebbe dannoso o impraticabile, arriva in soccorso dei Governi l’espediente PMSC, utilizzabile anche come vera e propria forza d’aggressione.
In questo senso, è emblematico il modus operandi di dette compagnie per capire come si possano adoperare gli stessi strumenti del “Mondo Westfaliano” (dove vige una rigida riconducibilità legale tra mandante ed agente), per raggirarlo e ritrovarsi nella realtà contemporanea del “Mondo Post-Westfaliano”, nel quale il principio dell’Accountability (ossia, per l’appunto, della responsabilità politica oggettiva) è sorpassato da quello della Plausible Deniability, la negazione plausibile.
Sarebbe sufficiente, quindi, per una Nazione, svestire i propri militari di mostrine, stemmi e loghi riconducibili allo stesso, congedarli, “lasciare che si crei” di privata iniziativa una PMSC che possa assumerli (in pieno rispetto dei principi liberali di “Bretton-Woods”, i quali sanciscono la netta separazione capitalistica tra Stato e settore privato), e far sì che essa provveda alla sicurezza estera in zone a rischio dei dipendenti di altre imprese con sede fiscale nella stessa Nazione. Così facendo, si bypassa totalmente qualsiasi tipo di nesso di causalità giuridica tra la stessa e i suoi privati cittadini all’estero. Una volta giunta in loco, la compagnia militare privata è così legalmente abilitata a fornire sicurezza armata per garantire l’incolumità di chi ne ha pagato i Servizi ed è qui però, che il quadro si fa grigio e sorgono due domande fondamentali. Una volta impiegata in teatro oltreconfine, la PMSC, oltre ai compiti di protezione privata sottoscritti, de facto, di chi esegue realmente gli ordini? E ancora, e soprattutto, i suoi operatori, a chi rispondono legalmente?
Mentre la prima è una domanda tanto spontanea, alla luce di quanto detto, quanto “retorica” ed insondabile, la seconda ha una risposta ben più chiara.
Dal punto di vista del diritto internazionale infatti, oggi, le PMSC e i loro contractors possono costituirsi in piena legalità a causa di un “cortocircuito” giuridico. Precisamente, a differenza dei loro storici antesignani (che si delineano nella figura del mercenario), la cui professione è espressamente bandita secondo i sensi dell’Art. 47 del “1° Protocollo Addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 18/08/1977” (Paragrafo 2 A-F), le Compagnie Militari di Sicurezza Privata altresì, sfruttando lo stesso Protocollo, lo aggirano per potersi garantire la totale operatività legale. È così che, mentre il mercenario viene definito come “Colui il quale è appositamente reclutato per combattere e colui il quale di fatto prende parte alle ostilità spinto dal mero tornaconto economico, non essendo residente o cittadino del Paese in conflitto”, e dunque, penalmente perseguibile a livello internazionale secondo il sopramenzionato Articolo 47, gli odierni contractors, limitandosi ufficialmente alla difesa passiva di personale civile, possono essere impiegati regolarmente cogliendo l’ambiguità descrittiva dell’Articolo 50 dello stesso Protocollo, dove, in senso “garantista”, il contractor è ascrivibile alla figura del civile. Infatti: “L’individuo contestualmente estraneo, non definibile chiaramente come civile, (quindi armato, N.d.s.) ma presente tra la popolazione civile, (del Paese in conflitto), deve godere dei diritti caratterizzanti del civile”. Ecco qui, dunque, l’escamotage giuridico utilizzato dalle compagnie per poter operare oltreconfine legalmente, nonché per evitare che i propri dipendenti possano essere perseguiti o sottoposti a giurisdizione di Organi Giudiziari Internazionali, come, ad esempio, il Tribunale dell’Aia.
Ci si trova, così, dinnanzi ad un gravissimo vuoto giuridico, che porta de facto ad una totale impunità del contractor.
Ed è proprio l’impunità degli “appaltatori” che ha fatto giungere spesso ai (dis)onori della cronaca l’operato delle PMSC. Esempio lampante sono gli abusi della forza adoperati dal personale della Blackwater (ora Academi) che, a seguito dell’esercito americano con compiti di scorta a personale VIP e addestramento della polizia locale irachena, era presente già agli albori della “Seconda Guerra del Golfo” in Iraq nel 2003. Furono molti qui i report internazionali, lasciati inascoltati, che denunciavano negli anni della guerra i delitti umanitari perpetrati dai contractors della PMSC americana verso la popolazione locale. Fu solo nel 2007, però, che l’opinione pubblica prese realmente coscienza del fenomeno in seguito all’ “incidente” più grave, il cosiddetto “massacro di Piazza Nisour”, ossia quando i contractors Blackwater aprirono il fuoco in maniera deliberata e ingiustificata uccidendo 17 civili iracheni, durante l’operazione di scorta ad un convoglio nella città di Baghdad.
A riprova di quanto già detto, le ripercussioni furono lievi: nessun arbitrariato sopranazionale che potesse rivendicare giurisdizionalmente la prosecution di quelli che, stante il diritto internazionale, erano semplici reati commessi da privati cittadini americani all’estero, un parziale ritiro della PMSC dal Paese (con successivo rebranding previo prossimo impiego) ed una Commissione d’Inchiesta interna presieduta dal Senato Americano che, a causa del sistema di lobbying proprio del sistema politico statunitense, si risolse in un nulla di fatto. Nessuna pena per i contractors macchiatisi dei delitti, neanche sotto l’egida legale degli USA. Furono semplicemente licenziati dalla compagnia.
Quello che emerge in maniera chiara, è come le PMSC godano di un pressoché infinito margine di manovra, che consente loro e ai loro dipendenti di poter agire in maniera svincolata da qualsiasi tipo di legalità, giurisdizione o nesso di causalità rispetto alla Nazione nella quale hanno sede.
È evidente, per quanto riguarda l’oramai storicizzato “scavallamento” causale tra Plausible Deniability e Accountability qui dimostrato, come nel panorama del “Mondo Post-Westfaliano” odierno, dal punto di vista strategico-securitario, sia di vitale importanza per un Paese dotarsi dello “strumento PMSC”, al fine di tutelare il proprio Interesse nazionale, nonché mantenere alta la competitività sul piano internazionale.
Una Nazione può, quindi, oggi concretamente proiettare le proprie mire in fatto di politica estera, finanche aggressive, svincolandosi in toto da ogni tipo di ripercussione legale-punitivo-tradizionale da parte di organismi internazionali terzi (embarghi, dazi, sanzioni et cetera), semplicemente dotandosi del dispositivo delle Compagnie Militari di Sicurezza Privata.
Se però il frame giuridico internazionale consente l’uso (e l’abuso) da parte di un Paese di tali PMSC, è il quadro normativo nazionale che ne deve consentire la costituzione in primis.
Ecco lo stato dell’arte in Italia. Al momento, il Belpaese è uno dei pochissimi Stati occidentali, e più in generale del mondo, a non aver affrontato a livello istituzionale un tema così delicato ma quanto mai decisivo, come quello delle Private Security Companies a connotazione militare. Solo da circa un triennio a questa parte si sono infatti alzate le prime voci da parte di politici, rappresentati delle più importanti aziende italiane operanti all’estero ed esperti del settore della sicurezza. Tutto ciò ha iniziato a portare all’attenzione del legislatore tale tematica, con conseguente svolgimento delle prime audizioni parlamentari e all’avanzamento di embrionali proposte di legge in merito. L’iter legislativo odierno si è concretizzato nella “proposta di legge 1295/2018”, ad oggi ancora al vaglio del legislatore. Tale proposta presenta però delle criticità dovute al contesto nel quale nasce e al quale è vincolata. Infatti, nello Stivale, da una parte il Codice Penale di stampo conservatorista di matrice fascista, dall’altra il sistema legale stringente derivato dall’esperienza del contrasto al terrorismo domestico durante gli “anni di piombo”, fa sì che, più che tentare di stilare nuove leggi per consentire la creazione da parte di privati di PMSC nostrane, si debba, secondo chi scrive, lavorare piuttosto sull’abrogazione di “leggi-bavaglio” quanto mai anacronistiche. È infatti questo l’ostacolo maggiore nel nostro Paese: non si può legiferare in un quadro legale troppo limitante in materia di sicurezza. La criticità maggiore di questa proposta è proprio, ad esempio, la mancata “dinamicità” dell’eventuale operatore di sicurezza privato italiano all’estero. Egli potrebbe solo difendere beni mobili e immobili, ma non persone fisiche, target audience direttamente nel senso stesso dell’esistenza di una PMSC.
Eppure, il personale italiano avrebbe tutte le carte in regola per costituire compagnie di sicurezza privata di altissimo livello. L’Italia ha iniziato la trasformazione del proprio esercito da una tipologia storicamente “di leva” ad uno professionale dagli inizi degli anni 90 del XX secolo. Questo ha fatto sì che la formazione e l’addestramento del personale militare italiano, raggiungesse i massimi livelli in quanto a professionalità e capacità tecniche inferiore a nessuno dei suoi partners occidentali. Negli ultimi anni, infatti, i nostri uomini e donne in divisa hanno acquisito sul campo esperienze uniche e decisive, riscuotendo a più riprese stima e impareggiabile considerazione da parte dei loro omologhi stranieri. Questo perché, oltre all’alto livello di addestramento, le Forze Armate italiane nel corso del tempo hanno sviluppato una vera e propria dottrina operativa unica nel suo genere basata principalmente sul concetto di dialogo con le popolazioni locali, rispetto dei diritti umani e, dunque, consenso maturato nei vari teatri operativi dove sono stati impiegati (dal Libano nel 1982 in poi). Una dottrina figlia naturale della nostra cultura e tradizione nazionale storicamente a forte trazione umanistica. Pertanto, avere delle “nostre” PMSC, consentirebbe di sfruttare e capitalizzare a pieno le nostre stesse risorse umane, professionali e culturali, immettendo nel campo della sicurezza privata tutto quel bagaglio tecnico-militare e socio-culturale in possesso dei nostri ex-militari ed eventuali futuri contractors (al momento non ottimizzati adeguatamente), la cui dottrina operativa, che definisco italian way, faciliterebbe di molto il lavoro delle nostre aziende all’estero aumentando positivamente l’interazione tra aziende e compagnie di sicurezza. Questo porterebbe il Paese ad essere più competitivo economicamente nelle zone più calde del globo poiché il “marchio Italia” si allargherebbe evidentemente ed armoniosamente, grazie alla nostra dialettica e l’empatia che i nostri contractors saprebbero creare verso popolazione ed istituzioni estere. È così facendo che i nostri impresari si potrebbero finalmente ritrovare a lavorare non più tanto in una “bolla di sicurezza” isolata e distaccata dalla realtà di alcune zone, ma, anzi, di comune intento con le realtà locali guadagnandosene la fiducia e una stima che diverrebbe strategicamente ed economicamente capitalizzabile nel breve, medio e lungo termine.