Le denunce anonime e i limiti della pre-inchiesta
Commento a Cass., sez. VI, 22 aprile 2016, n. 34450, in C.E.D. Cass., n. 267680
La sentenza in epigrafe si colloca nell’alveo del ricco panorama giurisprudenziale e dottrinale dedicato al tema delle delazioni anonime.
Dopo un silenzio giurisprudenziale durato oltre dieci anni[1], la Suprema Corte ritorna sulla questione, disponendo che «una denuncia anonima non può essere posta a fondamento di atti tipici di indagine […], trattandosi di atti che presuppongono l’esistenza di indizi di reità. Tuttavia, gli elementi contenuti nelle denunce anonime possono stimolare l’attività di iniziativa del pubblico ministero e della polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi, diretti a verificare se dall’anonimo possano ricavarsi estremi utili per l’individuazione di una notitia criminis».
Non una novità. In effetti, sin dall’entrata in vigore del codice di rito[2], si sono susseguite innumerevoli pronunce con cui la Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza il summenzionato dogma: da un lato, viene sancito il divieto di utilizzo processuale delle delazioni anonime; dall’altro si acconsente all’impiego delle stesse nella fase pre-procedimentale[3].
Più precisamente, le denunce anonime non possono costituire fonte probatoria, nemmeno indiziaria, essendo solo idonee a fornire materia di impulso per eventuali indagini finalizzate all’acquisizione di elementi sulla base dei quali si potrà poi promuovere l’azione penale.
Di qui, la necessità di individuare il confine tra lecito e illecito del potere-dovere dell’autorità giudiziaria di svolgere “inchieste” nella fase prodromica all’iscrizione della notizia di reato ovvero il contributo che le fonti anonime possono legittimamente apportare nell’attività investigativa ante notitia criminis.
Secondo la Corte, il discrimen tra lecito e illecito risulta essere rappresentato dall’uso della coercizione: in definitiva l’organo inquirente può compiere «solo quegli atti che per loro natura sono incapaci di arrecare pregiudizio ai diritti degli individui»[4].
In particolare, è vietato espletare, sulla base di informazione anonime, interrogatori, ispezioni, perquisizioni, sequestri ed intercettazioni, quali atti che, comprimendo i diritti fondamentali, presuppongono l’avvenuto accertamento della commissione di un fatto di reato[5], ovvero la presenza di un minimo fumus commissi delicti.
Se, infatti, si consentisse l’esercizio delle tipiche attività di indagine nella fase finalizzata al consolidamento della suspicio criminis, si rischierebbe di trasformare i mezzi di ricerca della prova in mezzi di acquisizione della notizia di reato.
In questo senso, non può che essere apprezzato il valore dogmatico di un simile precetto: se è vero che «il conoscere giudiziale non è senza limiti»[6], gli operatori incontrano vincoli rappresentati dalla tutela di valori ed interessi che l’ordinamento antepone alla stessa ricerca del crimine[7]. Le libertà negative, infatti, possono essere incise solo nei casi previsti dalla legge; legge che, in tale circostanza, non esiste affatto.
La delimitazione all’arbitrario e non controllato potere delle procure e degli operatori di polizia giudiziaria durante l’espletamento dell’attività prodromica alla formazione della notitia criminis appare, de iure condendo, l’unica soluzione che concili, ad un tempo, i bisogni dell’indagine e gli altri interessi in essa coinvolti.
Bibliografia essenziale
- Aprati, Notizia di reato, in Aa. Vv., Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, Torino, 2009, 43 ss.; Id., La notizia di reato nella dinamica del procedimento penale, Napoli, 2010, 55 ss.; G. Bellavista, voce Anonimi (Scritti) – Diritto processuale penale, in Enc. dir., II, Milano, 1958, 503 ss.; L. Bresciani, «Denuncia e rapporto», in Dig. disc. pen., vol. III, Torino, 1989, 398 ss.; G. Colaiacovo, I limiti di operatività delle denunce anonime, in Cass. pen., 2009, fasc. 11, 4321 ss.; P. Corso, Notizie anonime e processo penale, Padova, 1977; R. De Matteo, voce Denuncia penale, in Enc. Giur. Treccani, vol. XII, Roma, 1989; C. Fanuele, La ricostruzione del fatto nelle investigazioni penali, Padova, 2012, 12 ss.; G. Fumu, Il documento anonimo nella ricerca della notizia di reato, in Riv. polizia, 2005, fasc. 8-9, 544 ss.; V. Gianturco, Denuncia penale a) Denuncia, rapporto e referto, in Enc. dir., vol. XII, Milano, 1964, 189 ss.; EAD., L’utilizzazione delle denunce anonime per l’acquisizione della notizia di reato: condizioni e limiti delle attività pre-procedimentali alla luce delle regole sul «giusto» processo, in Cass. pen., 2002, fasc. II, 1546 ss.; G. Illuminati, Una deludente pronuncia in materia di delazioni anonime, in Riv. it. dir e proc. pen., 1976, 1044 ss.; A. Marandola, I registri del pubblico ministero, Padova, 2001, 70 ss.; W. Nocerino, Le denunce anonime come strumento di indagine. Un difficile equilibrio tra efficienza e garanzie, in Dir. pen. proc., 2017, f. 12, 1607; P.P. Paulesu, voce Anonimi, documenti, e denunce, in Dig. disc. pen., vol. I, Torino, 1990, 474 ss.; P. Silvestri, La notizia di reato e le condizioni di procedibilità, in Aa. Vv., Le indagini preliminari e l’archiviazione, a cura di E. Aprile-P. Silvestri, Milano, 2004, 100 ss.; G.P. Voena, Aspetti processuali e penali delle delazioni anonime, Milano, 1978; A. Zappulla, La formazione della notizia di reato, Torino, 2012, 24 ss.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI |
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Conforme |
Cass., sez. V, 28 ottobre 2008, n. 4329, in C.E.D. Cass., n. 242944; Id., sez. VI, 21 settembre 2006, n. 36003, ivi, n. 235279; Id., sez. IV, 17 maggio 2005, n. 30313, ivi, n. 232021; Id., sez. VI, 21 aprile 1998, n. 5843, ivi, 210654; Id., sez. IV, 22 dicembre 1995, n. 4308, ivi, n. 204176; Id., sez. VI, 29 ottobre 1994, n. 2087, ivi, n. 199420; Id., sez. VI, 20 maggio 1988, n. 8854, ivi, n. 212000.
Cass., Sez. Un., 29 maggio 2008, n. 25932, in C.E.D. Cass., n. 239695 |
Difforme |
Cass., sez. III, 19 aprile 2011, n. 28909, in C.E.D. Cass., n. 250643; Id., sez. III, 29 aprile 2004, n. 268447, ivi, n. 229419. |
[1] Cass., sez. VI, 21 settembre 2006, n. 36003, in C.E.D. Cass., n. 235279.
[2] Cfr., Cass., sez. I, 13 ottobre 1986, n. 14337, in Giust. pen., 1988, fasc. III, 45 ss.; Id., sez. I, 16 dicembre 1983, n. 2179, in Cass. pen., 1985, fasc. I, 725 ss.; Id., sez. III, 16 marzo 1979, n. 5268, in Giust. pen., 1980, fasc. III, 49 ss.; Id., sez. I, 12 gennaio 1979, n. 404, in Riv. pen., 1979, 618 ss.; Id., sez. II, 20 giugno 1977, n. 15614, in Riv. pen., 1978, 254 ss.; Id., sez. I, 10 luglio 1973, n. 1387, in Arch. pen., 1975, fasc. II, 149 ss.
[3] In questo senso, Cass., sez. VI, 22 dicembre 1995, n. 4308, in C.E.D. Cass., n. 204176; Id., sez. III, 18 giugno 1997, n. 2450, in Cass. pen., 1998, fasc. II, 2079 ss.; Id., sez. VI, 21 aprile 1998, n. 5843, in C.E.D. Cass., n. 210654; Id., sez. IV, 17 maggio 2005, n. 30313, ivi, n. 232021; Id., sez. V, 28 ottobre 2008, ivi, n. 242944. Sul punto è anche intervenuta una pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte, che, equiparando una denuncia irrituale alla denuncia anonima, ha disposto che «pur essendo uno scritto di per sé inutilizzabile, [la stessa] è idonea a stimolare l’attività del pubblico ministero o della polizia giudiziaria […]». Così Cass., sez. un., 29 maggio 2008, n. 25932, in C.E.D. Cass., n. 239695. Tesi peraltro già sostenuta dalla Consulta. Cfr., Corte cost., 18 gennaio 1977, n. 29, in Giur. cost., 1977, 99 ss.; Id., 29 aprile 1975, n. 95, in www.giurcost.org; Corte cost., 27 dicembre 1974, n. 300, in Riv. It. dir. pen. e proc., 1976, 1044. In senso difforme, Cass., sez. III, 19 aprile 2011, n. 28909, in C.E.D. Cass., n. 250643; Id., sez. III, 29 aprile 2004, n. 26847, ivi, n. 229419. .
[4] Cass., sez. III, 18 giugno 1997, n. 2450, cit., 642 ss.
[5] Contra, Cass., sez. IV, 4 giugno 1993, n. 8919, in C.E.D. Cass., n. 198189.
[6] Sul punto, M. Nobili, La nuova procedura penale, Bologna, 1989, 113.
[7] In questo senso, Cass., sez. III, 26 gennaio 1999, n. 3261, cit., 3458.
Wanda Nocerino – Assegnista di ricerca in diritto processuale penale presso l’Università di Foggia