L’algoritmo giudicante: uno scenario irrealistico?

Rosa Tarricone - 28/03/2023

L’evoluzione tecnologica ha portato alla c.d. quarta rivoluzione che, soprattutto di recente, ha riguardato tecnologie di tipo comunicativo ed informativo ma anche software e piattaforme digitali, basate sul calcolo algoritmico. È così che le sfide istituzionali possono ricondursi alla metafora della navigazione poiché la rete viene paragonata al mare e l’attività fisica del navigare alla ricerca online.

In un contesto digitalizzato e governato dai sistemi di intelligenza artificiale, il giurista è chiamato a confrontarsi con spazi senza confini, il Metaverso, il Cyberspazio, dove agenti software o robot elaborano dati e concludono attività autonomamente, con esiti imprevedibili.

In questo scenario, si ritiene necessaria una Costituzione per Internet, per cristallizzare principi fondamentali – come, ad esempio, il diritto all’accesso, alla privacy, all’oblio, alla libertà di pensiero, considerata la pietra angolare dell’ordinamento giuridico- che consentano di operare nel web, considerato non solo un mezzo tecnologico ma una concreta possibilità di crescita per il soggetto che oramai vive Onlife, intendendosi con quest’ultimo termine la dimensione telematica nella quale si svolgono grande parte delle attività quotidiane.

Il vero thema disputandum diviene quello di comprendere se le nuove tecnologie possano coinvolgere anche il settore della giustizia. In particolare, si tratta di individuare le modalità con cui i sistemi di decisione automatizzata, basati su calcoli algoritmici, riusciranno ad inserirsi e ad essere applicati in un sistema giuridico di civil law nonché risultare compatibili con i valori costituzionali di indipendenza, imparzialità e terzietà del giudice, nonché del principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost.

Ogni innovazione amplia la sfera del possibile e modifica il tessuto interno di una società: ciò pone il problema del limite etico oltre il quale queste nuove possibilità non debbano spingersi. È una disputa senza tempo, quella dell’uomo contro la macchina, e all’alba di ogni innovazione tecnica vi è sempre chi accoglie i benefici e chi ne paventa le conseguenze negative. Tuttavia, di fronte alle nuove opportunità non sono da sottovalutare i rischi derivanti dall’uso dell’intelligenza artificiale, che potrebbero sostituire l’umanità in una c.d. dittatura dell’algoritmo.

         Einstein affermava che il progresso tecnologico è come un’ascia nelle mani di un criminale patologico; è una corsa inarrestabile e, pertanto, è necessario contenerla. Ciò è fondamentale nel campo della giustizia predittiva, ove si auspica che possa ritenersi prevedibile l’esito di un giudizio. Ritenere che un robot, un algoritmo, possa affiancare o sostituire il giudice nell’espletamento delle sue funzioni richiede un’analisi profondamente accurata. Gli operatori giuridici sono chiamati ad affrontare una delle sfide più importanti: identificare la misura democraticamente sostenibile tra giustizia e intelligenza artificiale.

Sebbene l’algoritmo sia descritto come un formidabile strumento in grado di snellire il carico di lavoro dell’apparato giudiziario, per altro verso, non presenta il carattere dell’infallibilità, mostrandosi, anzi, talora discriminatorio e poco attendibile.

L’idea che un giudice-robot possa segnare il destino degli uomin andrebbe ad incidere sulle garanzie costituzionali poste a presidio della giurisdizione, compromettendo l’effettività e la pienezza del diritto alla difesa delle parti, la qualità della decisione giurisdizionale, la capacità del giudice di far emergere le peculiarità dei fatti e, ancor più importante, la capacità di calibrare su di essi la decisione.

Il quesito da porsi è: perché un algoritmo, un robot non può sostituire un giudice? A ben vedere, una macchina è di gran lunga più efficiente dell’uomo, non mangia, non è stanca, non si lamenta, non ha necessità di alcun tipo, non è condizionabile. In altri termini, non ha sentimenti, è dis-umana.

La risposta, ancora una volta, la si coglie nella compressione dei diritti costituzionalmente garantiti. A differenza di altri Paesi, come l’Estonia e la Cina, in cui sono nati da pochi anni i primi magistrati-robot, nella società italaiana non si punta alla sostituzione del giudice ma alla sua integrazione.

Pertanto, l’intento non è di rimpiazzare l’operato del giudice umano, il quale resta preminente, ritenendosi necessario l’apporto umano, ma di adottare una serie di modelli matematici a supporto della sua decisione, al fine di semplificare la sua attività e, conseguentemente, di migliorare la giustizia sia in termini di qualità che in termini di efficienza.

Occorrerebbe, dunque, sposare l’idea di una funzione servente della macchina e non sostitutiva: il giudice odierno, e ancor più quello di domani, dovrebbe essere coadiuvato dalla macchina “signoreggiandola, ma subendone il controllo”.

Bisognerebbe pensare ad un nuovo modus operandi, ad una contaminazione tra l’uomo e la macchina nella quale le prestazioni cognitive dell’uomo siano potenziate al massimo ed al contempo sorvegliate dalla capacità della macchina.

In definitiva, può evincersi il principio human in the loop che corrisponde alla sfida di trovare un equilibrio tra la componente robotica e quella umana, mantenendo l’uomo in the loop. Spetta, quindi, ad ogni giurista del presente e del futuro, protagonista di una nuova era, decidere come utilizzare questa invenzione finale, ormai uscita dai laboratori.

Spetta sempre agli uomini scegliere quale futuro vogliono contribuire a realizzare per la posterità, in un contesto democratico e governato da diritti costituzionalmente garantiti, che richiedono ancoraggio e garanzia.