La sorveglianza nel caso “FBI v. Fazaga”

Pasquale Annicchino - 02/05/2022

La lotta al terrorismo che ha egemonizzato le politiche di sicurezza di molti Stati dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 continua a produrre conseguenze importanti in diversi ordinamenti giuridici. Sono soprattutto la tutela della riservatezza e della privacy degli individui ad entrare in conflitto con le molteplici iniziative legate alla sorveglianza che producono controversie che il potere giudiziario è poi chiamato a risolvere. In un recente caso deciso dalla Corte Suprema degli Stati Uniti (FBI v. Fazaga-No 20-828)[1] Yassir Fazaga, imam della moschea di Orange County in California, insieme ad altri fedeli accusava l’FBI di aver messo sotto sorveglianza i fedeli e aver infiltrato la moschea solo a causa della loro affiliazione religiosa. Tali attività facevano parte della cosiddetta “Operation Flex” coordinata dall’FBI e dalla Orange County nel contesto delle attività della California Joint Terrorism Task Force. Le operazioni di sorveglianza dell’FBI erano state condotte secondo le norme del Foreign Intelligence Surveillance Act del 1978 (FISA) che autorizza, tra le altre cose, la sorveglianza elettronica e le perquisizioni nel caso in cui le autorità pubbliche ritenessero probabile che gli obiettivi della sorveglianza siano agenti al servizio di stati esteri. I ricorrenti contestavano anche il ricorso ad informatori la cui attività sarebbe consistita nell’identificare i fedeli più devoti in quanto tale caratteristica avrebbe contribuito ad identificare coloro maggiormente soggetti ad un potenziale rischio di radicalizzazione. In effetti, nel corso dell’operazione, l’FBI aveva reclutato Craig Monteilh, un istruttore di fitness, che fingendo una conversione all’Islam si era unito alla comunità musulmana di Irvine con il fine di raccogliere informazioni utili alle attività di sorveglianza. Venuta meno la sua copertura, l’attività di sorveglianza è stata scoperta e l’FBI è stata chiamata a giustificare le sue azioni davanti ai tribunali. Nell’agosto 2012 la Corte distrettuale ha riconosciuto la possibilità per l’FBI di invocare il segreto di stato sulle operazioni realizzate e ha chiuso il caso[2]. I ricorrenti si sono così rivolti alla Corte d’appello del Ninth Circuit che, con una decisione unanime del marzo 2022, ha ribaltato la decisione della Corte distrettuale nelle parti più rilevanti che riguardavano la dimensione relativa all’invocazione del segreto di stato. Il caso è così arrivato alla Corte Suprema. Secondo i ricorrenti l’applicazione del Foreign Intelligence Surveillance Act avrebbe consentito ai giudici di valutare le azioni dell’FBI senza rendere pubblici gli elementi di cui si invocava il potenziale conflitto con la sicurezza nazionale. Di conseguenza questo avrebbe reso possibile verificare la legalità delle azioni dell’agenzia di sicurezza senza mettere in pericolo la sicurezza nazionale e senza render necessaria l’applicazione del segreto di stato. La Corte Suprema, con una decisione all’unanimità, ha invece deciso che la sezione 1806(f)[3] del FISA invocata dai ricorrenti non comporta l’inapplicabilità del segreto di Stato determinando così la soccombenza dei ricorrenti[4]. Nella decisione, redatta per la Corte dal giudice Alito, si specifica come “today’s decision addresses only the narrow question whether 1860(f) (of the Foreign Intelligence Surveillance Act) displaces the state secrets privilege”[5]. Tale affermazione esplicita della Corte nell’opinione di maggioranza ha consentito agli avvocati dei ricorrenti di poter affermare che toccherà alle Corti inferiori dirimere le controversie e i nodi interpretativi che la pronuncia della Corte Suprema non ha contribuito a risolvere come quello relativo alla violazione dei diritti dei ricorrenti protetti dal primo emendamento costituzionale e che riguardano la tutela del loro diritto di libertà religiosa che sarebbe stato violato dalle attività di sorveglianza poste in essere dall’FBI. Tale approccio della Corte, ispirato dalla dottrina del “judicial minimalism”, contribuisce a spiegare l’unanimità che è stato possibile raggiungere sulla questione giuridica che la Corte ha inteso affrontare. Questo lascia tuttavia aperte le porte a nuove e future controversie che le Corti saranno chiamate ad affrontare[6] e che potranno contribuire a delineare i limiti dell’invocabilità del segreto di stato.

 

 

 

 

 

 

Bibliografia essenziale

 

 

  1. Annicchino, La sorveglianza cinese passa da una sentenza della Corte americana, Domani, 15/11/2021, disponibile su: https://www.editorialedomani.it/politica/mondo/sorveglianza-cina-stati-uniti-corte-suprema-oquz8qaa;

 

  1. Dallas, How 9/11 changed American Muslims’ relationship with religious liberty, Deseret News, 4/9/2011, disponibile su: https://www.deseret.com/faith/2021/9/4/22653969/how-9-11-changed-american-muslims-relationship-with-religious-liberty-terrorist-attacks-civil-rights;

 

  1. Dallas, Muslims face setback in challenge to FBI surveillance, Deseret News, 4/3/2022, disponibile su:https://www.deseret.com/faith/2022/3/4/22959022/muslims-face-setback-in-challenge-to-fbi-surveillance-fazaga-supreme-court;

 

  1. Greenberg, Surveillance in America: Critical Analysis of the FBI, 1920 to the Present, Lexington Books, Lanham, 2012;

 

E.C. Liu, FBI v. Fazaga: Supreme Court Examines Interplay of State Secrets Privilege and the Foreign Intelligence Surveillance Act, 12/1/2022, disponibile su: https://crsreports.congress.gov/product/pdf/LSB/LSB10683;

 

  1. Liptak, Supreme Court Sides With F.B.I. in Case on Spying on Muslims, The New York Times, 4/3/2022, disponibile su: https://www.nytimes.com/2022/03/04/us/supreme-court-spying-muslims-state-secrets.html;

 

  1. Reeves, F.B.I. v. Fazaga: the Secret of the State-Secrets Privilege, Duke Journal of Constitutional Law and Public Policy, 17, 2022, pp. 267-280, disponibile su: https://scholarship.law.duke.edu/djclpp_sidebar/214/

[1] Corte Suprema U.S., Federal Bureau of Investigation et al. v. Fazaga et al, No 20-828, 4/3/2022;

[2] La dottrina del segreto di stato consente di evitare di produrre in giudizio determinati elementi nel caso in cui la Corte ritenga che esista un “reasonable danger” che tale divulgazione “will expose military matters which, in the interest of national security, should not be divulged”. Tale principio fu riconosciuto anche dall’importante decisione della Corte Suprema nel caso Reynolds v. Stati Uniti del 1953.

[3] Tale sezione permette di attivare la procedura “in camera and ex parte” quando l’Attorney General intervenendo in giudizio sostenendo che la produzione in giudizio di alcuni elementi di prova possa recare danno alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti.

[4] La Corte utilizza vari argomenti a sostegno di questa conclusione tra cui quello testuale: “(…) the text of FISA weighs heavily against respondents’ displacement argument. FISA makes no reference to the state secrets privilege. It neither mentions the privilege by name or uses any identifiable synonym, and its only reference to the subject of privilege reflects a desire to avoid the alteration of privilege law”, pag. 9 della sentenza.

[5] Pagina 13 della sentenza.

[6] Si veda in tal senso il comunicato dell’American Civil Liberties Union disponibile al seguente indirizzo: https://www.aclu.org/press-releases/supreme-court-allows-suit-against-fbi-spying-muslims-move-forward.