La sicurezza della Giordania alla luce delle variabili geopolitiche regionali
Il Regno Hashemita di Giordania è una monarchia costituzionale situata nel cuore del Medio Oriente, è una nazione araba e musulmana che a causa della sua posizione geografica non è dotata naturalmente delle caratteristiche di un grande Stato, pertanto la sua sicurezza e stabilità hanno fatto principalmente affidamento sugli interessi degli attori politici esterni, sin da quando l’Impero britannico concepì per la prima volta i suoi confini nel 1921. Il Regno è politicamente vulnerabile a causa delle sue scarse risorse naturali, della sua critica situazione economica e un processo di riforma politica incompleto e fortemente contestato dalla società. La Giordania è paragonabile a un’oasi nel deserto, incastonata in una Regione tormentata dal conflitto, che ha funzionato svariate volte come un cuscinetto strategico tra l’Occidente e gli Stati Arabi e viceversa. La sua storia è stata fortemente influenzata dalle dinamiche dei territori a lei confinanti, difatti ogni variazione dello scenario regionale genera delle conseguenze inevitabili sulla stabilità e sulla sicurezza del Paese, un plausibile riscontro di ciò lo si potrebbe ottenere semplicemente constatando quanto nell’ultimo mese le vicende giordane siano state oggetto di interesse internazionale alla luce di un concatenarsi di eventi interni e regionali che sembrano minare la sicurezza della Monarchia.
Durante il mese del Ramadan oltre i confini hashemiti si è verificata una continua escalation di violenze tra israeliani e palestinesi, i motivi principali sono stati l’aumento delle proteste per gli sfratti dei cittadini palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah, situato tra Gerusalemme est e ovest, perpetrati dagli israeliani e le violazioni commesse da questi ultimi nei pressi della moschea di Al Aqsa /Al Haram Al Sharif considerata il terzo luogo santo dall’Islam dopo la Mecca e Medina. Il 10 maggio 2021 le tensioni sono culminate in un rinnovato scontro israelo-palestinese, Hamas dopo aver sollecitato con un ultimatum la controparte a ritirarsi dal luogo sacro, venerato sia da musulmani che da ebrei, ha lanciato un’offensiva dalla striscia di Gaza verso lo Stato israeliano innescando così un feroce contrattacco. Nonostante le ripetute sollecitazioni, esterne ed interne alla Regione, lo scontro è continuato ininterrottamente per undici giorni, il 21 maggio il Presidente Netanyahu ha annunciato il cessate il fuoco con l’accettazione simultanea e reciproca di Hamas, anche grazie alle pressioni internazionali e alla mediazione egiziana. Si sottolinea che la questione israelo-palestinese è una condizione cronica che ha plasmato le politiche mediorientali per oltre mezzo secolo e quindi fonte di frustrazione per gli Stati che desiderano giungere a una soluzione pacifica, a tal proposito la c.d. West Bank ha fatto parte del Regno Hashemita di Giordania fino a quando il Re Hussein decise di reciderne i legami legali e amministrativi nel 1988, da allora il Regno ha sostenuto dichiaratamente una soluzione a due Stati e quindi la creazione di uno Stato palestinese indipendente con capitale Gerusalemme est. Nonostante il disimpegno la Monarchia ha cercato di svolgere assiduamente un ruolo di mediatore super partes promuovendo la stabilizzazione dell’area perfettamente in linea con il suo ruolo di custode hashemita dei luoghi sacri musulmani e cristiani a Gerusalemme. Le recenti vicende israelo-palestinesi rappresentano un ulteriore dilemma di sicurezza come anche una minaccia esistenziale per la Monarchia poiché potrebbero mettere a repentaglio i ventisette anni di pace tra Giordania e Israele, una pace che oggi si potrebbe definire
«fredda» a provarlo sono una serie di sviluppi politici tra i quali la sessione speciale del parlamento giordano tenutasi il 17 maggio in cui 90 su 130 parlamentari della camera bassa hanno firmato un memorandum che richiedeva al governo l’espulsione dell’ambasciatore d’Israele ad Amman e il ritiro dell’ambasciatore di Giordania a Tel Aviv, come segno di protesta e rifiuto degli attacchi israeliani alla moschea di Al Aqsa e della campagna di bombardamenti contro Gaza. Durante tutto il periodo di tensione il Re Abdullah II e il suo governo hanno svolto con impegno un’intensa attività diplomatica congiuntamente agli Stati della regione e all’Occidente. Il giorno prima del cessate il fuoco Sua Maestà, durante una telefonata ricevuta dalla vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris, ha esortato a galvanizzare gli sforzi internazionali per proteggere i palestinesi, sottolineando la necessità di porre fine alle misure illegali per espellere le famiglie palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah e fermare qualsiasi ulteriore violazione a Gerusalemme est e verso la moschea di Al Aqsa. Nello stesso giorno (20 maggio) il Ministro degli esteri Ayman Safadi ha partecipato alla riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, durante la quale ha esortato la comunità internazionale a fermare gli attacchi a Gaza e raggiungere un cessate il fuoco. Le vicende politiche che accadano nel vicinato impattano anche sulla stabilità della società giordana, tantoché si segnalano diverse proteste dei cittadini avvenute al confine con Israele a sostegno dei palestinesi, in un contesto in cui la gestione del malcontento dell’opinione pubblica, potenzialmente distruttivo, è di fondamentale importanza specialmente a fronte della sfiducia che nutre la popolazione verso le istituzioni governative e il parlamento, ma non verso la monarchia e il Re. Pertanto l’instabilità sociale nel suo complesso potrebbe costituire una potenziale minaccia per la sicurezza nazionale, considerando la situazione economica aggravata dal Covid-19 che ha minato la stabilità di una società giordana, già frammentata e povera, in cui sussiste la mancanza di particolari dinamiche politiche, un indice di percezione della corruzione elevato sia nel settore pubblico che in quello privato e un processo di democratizzazione ancora in evoluzione.
Visti i punti che sono stati brevemente affrontati si potrebbe affermare che la sicurezza del Regno hashemita sia influenzata da un’eterogeneità di variabili dipendenti soprattutto da fattori esogeni, anche a causa del ruolo essenziale che esso svolge nella regione per la realizzazione del processo di pace e per il raggiungimento di un Medio Oriente stabile, sicuro e prospero. A questo scopo il Re collabora con potenti sostenitori esterni, primi fra tutti gli Stati Uniti che ad oggi sono la sua principale ancora economica e militare. La Giordania ha degli ottimi rapporti anche con l’Unione Europea, la quale rappresenta uno dei suoi più importanti partner commerciali, ultimamente il Re ha tenuto due incontri separati con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, durante i quali tra l’altro si è parlato del sostegno diplomatico europeo in merito alla causa palestinese e agli attuali avvenimenti regionali che si potrebbero definire come il peggior focolaio di violenza tra israeliani e palestinesi dal 2014.