La razionalità dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan

Di Gabriele Fabrizi - 04/11/2021

Al fine di comprendere al meglio il presente dell’Afghanistan, dopo vent’anni di occupazione “atlantica” e successivamente alla sbrigativa ritirata dei contingenti NATO, è necessario, in primis, interrogarsi circa la sua composizione demografica.

Ebbene, l’etnografia del Paese (la cui denominazione significa “lì dove sono gli Afghani”), offre un panorama quanto mai eterogeneo, e, paradossalmente, quanto meno “afghano” possibile.

Infatti, ci si trova dinnanzi ad un Paese dove la maggioranza storica della popolazione dell’area è rappresentata dai Pashtun (circa il 40%, rendendo di fatto il termine ‘afghano’ nulla più che un mero sinonimo di ‘pasthun’). Tale etnia possiede un’identità unica e ben marcata rispetto alle altre ivi presenti, per via di una propria lingua, il Pashto, e della sua particolare organizzazione basata su codici tribali, il Pasthunwali. Di fede islamica, il pashtun è sunnita.

A seguire, vi sono i Tagiki (27% della popolazione), i quali hanno origine iranica e parlano un dialetto persiano, il Dari. Anch’essi sono musulmani, e sunniti.

Gli Hazara, rappresentano percentualmente la terza etnia (10%). Essi sono i discendenti delle orde mongole stabilitesi nella zona all’indomani delle scorrerie di Gengis Khan nel XIII secolo, pertanto sono più facilmente distinguibili dal punto di vista fisiognomico. Di religione islamica, essi fanno parte dell’ala sciita, rappresentando quindi, in un Paese al 90% sunnita, un’eccezione, nonché una minoranza perseguitata.

In quarta posizione si trovano gli Uzbeki (9%). Anch’essi musulmani sunniti, hanno origini turche.

Infine, vi sono gli Aimaq, popolo tribale e nomade in cui il ruolo della donna (a differenza delle altre etnie sopra citate),gioca un ruolo centrale nella vita del clan, e i Turkmeni (5%intotale).

In un quadro etnico così mosaicizzato, l’unico comune denominatore, nonché collante sociale, appare perciò essere la religione islamica di matrice sunnita.

Ed è proprio qui che entra in gioco l’attore talebano.

I talebani infatti, (denominazione derivante dal termine pashto che sta per “studenti”, coranici, per precisione), propongono una forte revisione in chiave islamico-sunnita della società afghana in senso verticistico, alla cui sommità vige la legge coranica, la Shari’ah. Ancor di più, la lettura talebana dello spazio giuspubblicistico si rifà alla corrente Deobandi (la quale possiede molti punti in comune con quella Saudita Wahhabita),suggerendo così una visione dell’Islam molto più “stringente” e conservatorista.

Qui risiede il cuore della questione.

Alla luce della “proposta talebana”, dovrebbe far riflettere, in primo luogo, come gli studenti non abbiano trovato resistenza alcuna da parte dell’Esercito Nazionale Afghano (ENA, finanziato, addestrato ed armato modernamente dagli occidentali), nonostante la schiacciante superiorità numerica e militare in dotazione a quest’ultimo.

L’ENA disponeva di tutti i mezzi necessari per fronteggiare efficacemente l’avanzata talebana, eppure non l’ha fatto (molte sono le fonti che riportano come non si sia sparato ‘neanche un colpo’ tra le due fazioni) 1; l’esercito si è altresì sgretolato in seguito a diserzioni, fughe (verso Paesi limitrofi quali l’Uzbekistan) e, per lo più, emblema della ‘questio afghana’ secondo l’estensore, a causa di una comunione di intenti tra lo stesso ei talebani.

Infatti, una volta ritiratasi la NATO, è venuto meno il punto di riferimento su cui si reggeva l’identità stessa di un esercito costituito, e costruito, su basi artificiali. L’ ENA si è cosi trovato dinnanzi ad un dilemma quanto meno retorico: rimanere nel Paese e combattere contro i propri “fratelli” (in senso religioso, altri componenti della Umma)?, oppure restare fedeli ad una istituzione “non propria”, messa in piedi da chi non è più presente nella realtà quotidiana dell’Afghanistan?

E, ancora, terza domanda che sorge spontaneamente in base alle prime due: che durante gli anni di servizio presso l’ENA, alle dipendenze occidentali, i soldati afghani non siano ricorsi alla Taqiyya (la dissimulazione della propria Fede, consentita dal Corano al fine di consentire al musulmano la sopravvivenza, più o meno fisica),e dunque,unavoltatoltosidimezzol’ovest,nonabbianorivelatolarealedirezionedellaloro fedeltà?

Il fatto storico e le tempistiche suggeriscono, ad ogni modo, come non ci siano state particolari frizioni tra l’esercito e i talebani sulla via di Kabul; al contrario, le immagini che giungono mostrano festanti studenti armati di tutto punto con Colt M4 di produzione americana, o su veicoli militari forniti dalla NATO ed appartenuti, fino a pochi giorni prima, allo stesso ENA.

Quello che emerge con forte evidenza, comunque la si veda, è come, la proposta di riorganizzazione islamica dello spazio pubblico portata avanti dai talebani, sia stata di fatto accolta con favore dalla stragrande maggioranza degli stessi attori sociali afghani.

Cisitroverebbepertantodifronteadunasvoltabottom-up,condivisadalpopolo,enontop-down, di matrice impositiva, come i Media occidentali sostengono, “puntando il dito ”in maniera sensazionalistica e strumentale verso le brutalità con cui i talebani, sarebbero, a loro avviso, ascesi al potere contro lo stesso volereindigeno.2

La fermezza della legge coranica messa in atto oggi dagli studenti, per quanto dura possa sembrare agli occhi degli osservatori esterni (il taglio della mano per il ladro, la lapidazione della donna adultera, la reintroduzione del velo, etc.), non deve far dimenticare, infatti, come la fonte da cui proviene tale legge, che piaccia o meno, è tanto legittima, razionale e giuridicamente “chiusa” tanto quanto quella occidentale, e, come quest’ultima, non può trovare applicazione su larga scala se non si rifà a codici culturalmente e tradizionalmente condivisi dal popolo.

Il fatto stesso che l’opinione pubblica dell’ovest del mondo si indigni per le atrocità commesse dai talebani, dimostra in parallelo come anche noi occidentali concordiamo su codici provenienti da una tradizione religiosa: quella cristiana.

Difatti, i “nostri valori” (principi umanitari, legalitari e lo stesso Habeas corpus), caratterizzanti lo Stato di Diritto nei Paesi democratici, derivano anch’essi, storicamente, proprio come il modus vivendi talebano, da una fonte originaria sacra, dunque apparentemente irrazionale, diremmo oggi, come la Bibbia(seppur successivamente storicizzata, secolarizzata e giuridicamente positivizzata)

È decisivo capire questo per non cadere nel facile quanto etnocentrico e ingannevole sdegno, rispetto ad un attore politico che assurge al potere per:

  • volontà popolare;
  • instaurare un sistema legale basato su principi condivisi dalla maggioranza del popolo stesso.

Quindi,perquantodetto,alfinediavereunapprocciocalibratoversol’EmiratoIslamicodell’Afghanistan, si dovrebbe, secondo chi scrive, riconoscere la razionalità dell’attore politico talebano. È solo così infatti, facendo un passo indietro e guardando la bigger picture, considerando i neoemiratini come players azionali con una fonte diversa ma tanto de facto e de iure, legittima quanto la “nostra”, che ci si può scrollare di dosso quell’apparente incomunicabilità valoriale a favore di un approccio più concreto, e, quindi, più efficace e realista, nella dialettica col nuovo attore regionale e i suoi sostenitori.

Russia e Cina, exempligratia, hanno già metabolizzato questa idea, ed entrambi i Paesi si sono già calati nella nuova realtà afghana riconoscendo l’Emirato e i talebani come interlocutori legittimi (con un approccio di realpolitik mirato allo sfruttamento delle ricche e ancora vergini risorse naturali afghane).

L’occidente rischia così, ancora una volta, di non riuscire a stare al passo con la competitività messa in atto dall’est del globo, marcata da un approccio più rapido e flessibile nella computazione, prodomosua, delle metamorfosi geopolitiche mondiali.

 

 

[1] https://19fortyfive.com/2021/08/the-afghan-national-army-didnt-surrender-it-fled-the-country/

[2] https://www.express.co.uk/showbiz/tv-radio/1478458/Carole-Malone-Taliban-savages-worse-than-before-Jeremy-Vine-news-video-vn