La perquisizione “di controllo” della Polizia Giudiziaria
Commento a Cass., sez. VI, 10 settembre 2019, n. 41986
Nell’ambito dell’attività di prevenzione e repressione del traffico di sostanze vietate (di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), l’esecuzione di un controllo di polizia non deve essere preceduta dall’avviso che il controllato ha diritto di farsi assistere da un difensore durante il corso delle operazioni.
Il principio espresso dalla sentenza della Corte indicata in epigrafe è l’ulteriore tassello di un consolidato orientamento giurisprudenziale che in materia di stupefacenti riconosce alla Polizia Giudiziaria poteri limitativi della libertà personale più ampi rispetto a quelli ordinariamente previsti per la perquisizione nel codice di procedura penale (artt. 256 ss. c.p.p.), in ragione del carattere preventivo della disciplina anti-droga di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 103.
Il decreto 309/90 è espressione di un modello di legislazione cd. di contrasto, che mira alla prevenzione e repressione di un fenomeno considerato nella sua globalità, più che alla repressione di una condotta delittuosa. Ciò si riflette in un rafforzamento delle prerogative delle Forze di Polizia e nell’attribuzione di poteri meno vincolati rispetto a quelli previsti in via ordinaria dal codice di procedura penale, il cui esercizio può prescindere dalla commissione di un reato, come nel caso dei controlli di polizia disciplinati all’art. 103 comma 2 del del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Nell’ambito dell’attività di contrasto agli stupefacenti, l’art. 103 del citato decreto prevede la possibilità, per la Polizia Giudiziaria, il ricorso a due strumenti investigativi differenti tra loro: quello di controllo ed ispezione della persona, dei mezzi di trasporto, bagagli ed effetti personali finalizzato alla ricerca di stupefacenti (art. 103 c. 2) e quello di perquisizione vera e propria, adottabile anche d’urgenza dalla Polizia Giudiziaria (art. 103 c.3).
Il potere di controllo ed ispezione (art. 103 comma 2) ha carattere preventivo e prescinde dall’esistenza di un commesso reato, poiché per procedere è sufficiente che la polizia giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che lì, sul controllato o su i suoi beni, possano essere rinvenute
sostanze stupefacenti, anche qualora il motivo si fondi su notizie confidenziali (rectius anonime) ricevute dagli organi di polizia, ancorché normalmente non utilizzabili nel corso delle indagini preliminari.
Il potere di controllo è quindi una attività di polizia fluida e non formale, derivante dal carattere preventivo della normativa e dalla conseguente parziale applicazione degli schemi procedimentali e delle garanzie penali.
Per questo l’esecuzione di un controllo, ex art. 103 c. 2, non richiede l’adozione di un previo decreto (dove far confluire le ragioni che hanno giustificato l’attività di controllo) ma soltanto la stesura di un verbale da parte della Polizia Giudiziaria (ancorché sottoposto a successiva convalida del P.M.), né l’obbligo di avvisare il controllato del diritto di farsi assistere da un difensore nel corso delle operazioni.
Il carattere repentino e meno garantito del potere di controllo è compendiato da una limitazione oggettiva, poiché a differenza della perquisizione ordinaria può essere esercitato soltanto sulla persona e sui beni che egli reca con sé nel momento e nel contesto in cui avviene il controllo di polizia (bagagli e mezzi di trasporto), non potendosi estendere l’attività ex art. 103 c. 2 al domicilio.
Eventualmente, a seguito dei controlli, e sulla scorta dei risultati ottenuti, la Polizia Giudiziaria potrà procedere ad una successiva perquisizione formale e domiciliare, (art. 103 c. 3) anche d’urgenza, dovendo in quel caso dare avviso al perquisito del diritto di farsi assistere, trattandosi in questo secondo caso di vera e propria attività investigativa a carattere penale.
A differenza della disciplina speciale, la perquisizione prevista dal codice di procedura penale (artt. 256 ss.) è a cd. thema probandum precostituito: è necessaria l’esistenza di un fatto di reato ed un collegamento probatorio ai fini dell’esercizio del potere investigativo limitativo della libertà personale, oltreché di un decreto motivato che il Pubblico Ministero adotta precedentemente alla perquisizione, oppure successivamente, in sede di convalida dell’attività svolta d’urgenza dalla Polizia Giudiziaria.
Per quanto riguarda la relazione tra risultati della perquisizione o dei controlli e successivo sequestro, si applica, per consolidato orientamento giurisprudenziale richiamato anche nella sentenza in commento, il principio del male captum bene retentum: l’eventuale nullità della perquisizione per difetto dei presupposti non rende il successivo sequestro illegittimo, qualora il vincolo cautelare cada sul corpo del reato su cosa pertinente al reato, ma un atto dovuto.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI |
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Conforme |
Cass. Sez. III, 17 febbraio 2016, n. 19365 in CED n. 266580; Cass., Sez. VI, 15 ottobre 2013, n. 9884, in C.E.D. n. 261527; Cass., Sez. IV, 6 ottobre 2010, n. 38559, in C.E.D. n. 248837; Cass., Sez. IV, 28 settembre 2006, n. 2517, in C.E.D. n. 23588; Cass., SS.UU., 27 marzo 1996, n. 5021 |
Federico Niccolò Ricotta – Dottorando di ricerca in diritto processuale penale presso l’Università degli Studi di Padova