Il sequestro nei locali adibiti a studio professionale del difensore indagato
Artt. 3, 112 Cost. – 103 c.p.p.
Le speciali garanzie di libertà del difensore previste dall’art. 103 cod. proc. pen. non riguardano solo il difensore dell’indagato o dell’imputato nel procedimento in cui sorge la necessità di svolgere le attività di ispezione, perquisizione o sequestro, ma vanno osservate in tutti i casi in cui tali atti vengano eseguiti nello studio di un professionista iscritto all’albo degli avvocati, che abbia assunto la difesa di qualsiasi assistito, sia nel procedimento «de quo» che in altro procedimento, anche del tutto estraneo rispetto a quello in cui l’attività di ricerca, perquisizione e sequestro venga compiuta, atteso che non si tratta di privilegi di categoria, finalizzati alla «tutela» della dignità dei suoi appartenenti, ma del riflesso dell’inviolabilità del diritto di difesa, come diritto fondamentale della persona garantito dall’art. 24 della Costituzione.
Premessa. La sentenza in epigrafe affronta il tema legato al sequestro effettuato nei locali utilizzati per lo svolgimento dell’attività professionale del difensore indagato. La posizione del soggetto che rivesta al contempo la qualifica di difensore di assistiti in altri procedimenti connessi e di persona sottoposta alle indagini preliminari, lascia emergere l’esigenza di operare un bilanciamento tra il rispetto delle garanzie difensive e del segreto professionale da una parte e, dall’altra, l’esigenza di non apporre ostacoli all’attività investigativa.
Osserva la Cassazione: “le garanzie di libertà dei difensori, previste dall‘art. 103 c.p.p., sono apprestate a tutela non della dignità professionale degli avvocati, ma del libero dispiegamento dell’attività difensiva e del segreto professionale, che trovano il diretto supporto nell’art. 24 della Costituzione, che sancisce la inviolabilità della difesa, come diritto fondamentale della persona. Tali garanzie mirano a prevenire il pericolo di abusive intrusioni nella sfera difensiva, in quanto l’attività di ricerca negli studi professionali implica la possibilità di esame di carte e di fascicoli utili per l’esercizio autonomo dell’attività di difensore”.
E aggiunge: deve ritenersi illegittima la perquisizione di uno studio di un difensore disposta dal pubblico ministero ed eseguita dalla polizia giudiziaria senza l’osservanza delle prescrizioni dell’art. 103 commi terzo e quarto c.p.p., anche se con riferimento ad un procedimento diverso da quello in cui era svolta attività difensiva.
- Il Caso
La vicenda trae origine dal ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Livorno avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Livorno accoglieva l’istanza di riesame ex art. 324 c.p.p. ed annullava il sequestro ed il decreto di convalida emesso dal PM limitatamente ai beni ed ai documenti reperiti a seguito di perquisizione dello studio legale del difensore indagato. Questi, era indagato di essere parte di un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati di truffa, auto-riciclaggio e reimpiego di danaro, avendo piegato la propria attività professionale alle illecite esigenze dei compartecipi. In particolare il Tribunale aveva ritenuto sussistenti le violazioni delle garanzie previste dall’art. 103 c.p.p. in caso di perquisizione e sequestro da eseguirsi all’interno dei locali adibiti a studio legale. Più nello specifico, l’ordinanza statuiva che le garanzie di cui all’art.103 c.3. e c.4 c.p.p. debbano trovare applicazione anche nel caso di perquisizione eseguita a carico dello stesso difensore ex art. 103 c.1 lett a c.p.p.
Proponeva ricorso per Cassazione il Procuratore, censurando l’interpretazione fornita in sede di riesame nella parte in cui il T ribunale aveva ritenuto di fare applicazione integrale dell’art. 103 c.2,3,4 c.p.p. nonostante il difensore risultasse persona sottoposta alle indagini preliminari. Il Pm aveva, altresì, evidenziato come l’ordinanza avesse operato una rivisitazione del disposto normativo individuando una stretta interferenza tra la condotta indiziata di illiceità e l’attività professionale svolta dall’indagato, il quale era difensore anche di due indagati in distinti procedimenti. L’interpretazione del Tribunale conduceva a ritenere che il sequestro presso uno studio legale debba essere accompagnato da tutte le garanzie ex art. 103 c.p.p. e che il sequestro di carte e documenti, quand’anche questi siano conservati in ragione del mandato difensivo, possa avvenire solo su oggetti specifici e non per finalità esplorative.
Il ricorrente sottolineava come detta interpretazione conduca a ritenere possibile sequestrare esclusivamente carte e documenti che costituiscano il corpo del reato, anche se il legale risulti sottoposto ad indagini e, pertanto, lamentava che siffatta costruzione si ponga in contrasto con gli artt. 3 e 112 Cost., fornendo una sorta di immunità al difensore che abbia in animo di delinquere.
La seconda sezione della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso ritenendo l’ordinanza impugnata rispondente ad una corretta esegesi dell’art.103 c.p.p. A detta dei giudici, infatti, le speciali garanzie di libertà del difensore vanno osservate in tutti i casi in cui le attività di perquisizione e sequestro vengano eseguite nello studio di un difensore in ragione, non di privilegi di categoria, quanto piuttosto nel rispetto del diritto fondamentale della persona di cui all’art. 24 Cost.
- Il ragionamento della Corte.
Il collegio ha messo in luce come i motivi di doglianza addotti dal ricorrente richiamino implicitamente un orientamento giurisprudenziale, inaugurato nel 1998[1], secondo cui in tema di sequestro da eseguirsi nello studio del difensore, qualora il mezzo di ricerca della prova sia disposto in un procedimento relativo al difensore medesimo, non è necessario l’avviso al Consiglio dell’ordine, atteso che persona attiva del reato è un soggetto che esercita la professione legale e non viene in rilievo la tutela della funzione difensiva cui è finalizzata la norma. Invero, le garanzie di cui all’art. 103 c.p.p., lungi dall’introdurre un’immunità penale per il difensore, trovano applicazione solo quando ciò sia necessario per tutelare la funzione difensiva e l’oggetto della difesa[2].
I giudici sottolineano come emerga chiaramente la stretta interferenza, individuata nell’ordinanza impugnata, tra la posizione dell’indagato come difensore di soggetti partecipi e promotori del sodalizio criminale in distinti procedimenti da una parte e, dall’altra, la sua posizione di indagato per la partecipazione alla stessa associazione per delinquere. In particolare, detta interferenza lascia emergere come nel caso in giudizio si controverta della prestazione dell’indagato di attività professionale in favore dei presunti solidali in termini che esulano dall’assistenza tecnica per trasmodare in un contributo cosciente alle attività illecite. Sarebbe proprio questa circostanza, a detta dei giudici di legittimità, ad evidenziare la necessità di tutelare la funzione difensiva a mezzo delle garanzie approntate dall’art. 103 c.p.p.
I Giudici sottolineano, inoltre, come a tal fine non rilevi in alcun modo l’assenza di un mandato difensivo per lo specifico procedimento, in quanto le garanzie di libertà dei difensori ex art. 103 c.p.p. sono apprestate a tutela dell’inviolabile diritto di difesa ex art. 24 Cost. e mirano a prevenire il pericolo di invasioni abusive nella sfera difensiva. Queste garanzie, pertanto, vanno osservate in tutti i casi in cui le attività di ispezione, perquisizione e sequestro vengano effettuate all’interno degli studi professionali dei difensori che abbiano assunto la difesa di assistiti anche al di fuori del procedimento per cui tali mezzi di ricerca della prova sono approntati e anche qualora non vi sia un mandato difensivo per il procedimento in cui sono disposti.
Quanto ai dubbi di costituzionalità sollevati dal ricorrente in merito alla pretesa violazione di cui agli artt. 3 e 112 Cost. dell’art. 103 c.p.p., così interpretato, la corte richiama una precedente giurisprudenza[3] che, ritendendo manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, ha sottolineato come l’art. 103 c.3 e 4 c.p.p. non violi l’art. 3 della Costituzione in quanto non ostacola in alcun modo la ricerca della prova, al contrario, limitandosi esclusivamente a dettare una disciplina peculiare volta a preservare il diritto di libertà difensionale nonché il segreto professionale.
Infine, i Giudici richiamano quanto statuito dalle Sezioni Unite Grollino[4], chiarendo che l’operatività delle garanzie predisposte dall’art. 103 c.p.p. non sia in alcun modo condizionata alla circostanza per cui gli atti di perquisizione e sequestro siano disposti dall’autorità giudiziaria nello stesso procedimento in cui è svolta l’attività difensiva. Invero, le Sezioni Unite, risolvendo il contrasto interpretativo, avevano aderito alla tesi per cui le garanzie predisposte dall’art. 103 c.p.p. devono ritenersi applicabili a tutte le attività di ricerca della prova effettuate nello studio di un difensore e non possono essere limitate esclusivamente al difensore dell’indagato nel procedimento in cui si è disposto il sequestro. A voler ragionare altrimenti, si concederebbe la possibilità di incidere sulla sfera del difensore con attività che, benché aventi ad oggetto altri procedimenti, potrebbero lasciar emergere elementi utili ai fini dell’indagine.
La Corte di Cassazione ha, pertanto, ritenuto infondato il ricorso proposto dal Procuratore in quanto l’ordinanza impugnata aveva fornito un’interpretazione conforme e costituzionalmente orientata dell’art. 103 c.p.p. alla luce dell’inviolabilità del diritto di difesa ex art. 24 Cost. Invero, concludono i giudici, le garanzie stabilite a pena di nullità ex art. 103 c.3 c.p.p. devono essere assicurate in tutti i casi in cui il sequestro venga posto in essere nei locali adibiti a studio professionale del difensore.
[1] Cass. Sez. II n. 32909 del 16/05/2012, in C.E.D. Cass. n. 253263.
[2] Cass, Sez. II n. 31177 del 16/5/2006, in C.E.D. Cass. n,234858; Cass. Sez. V n. 35469 del 04/06/2003, in C.E.D. Cass. n. 228326.
[3] Cass. Sez. VI, n. 3804 del 27/10/1992, dep. 1993, in C.E.D. Cass. n.193106.
[4] Cass. Sez. U, n. 25 del 12/11/1993, dep. 1994, Grollino, in C.E.D. Cass. n. 195627.