Il difficile governo della complessità
1. Nella tumultuosa dinamica della vita contemporanea il futuro era già ieri, superato dai nuovi orizzonti scientifici, culturali, politici che tracciano gli sviluppi d’un domani sempre più prossimo, comunque già sufficientemente delineato.
Eventi già definiti ma anche situazioni inedite e imprevedibili pongono sempre più l’uomo contemporaneo, in tempi spesso serrati, di fonte a nuove sfide e decisioni, che richiedono risposte non semplici, per le complessità o le novità, che vi sono sottese.
Significative indicazioni in tal senso emergono dall’inesplorata potenzialità dello sviluppo tecnologico e dall’evoluzione dei bisogni e delle aspettative legate al mutamento delle dinamiche sociali.
2. Inevitabilmente sono molti i settori coinvolti da queste dinamiche spesso interconnesse così da aumentare la complessità delle questioni e conseguentemente delle soluzioni.
Uno di questi è sicuramente quello della giustizia (e di quella penale in particolare) anche senza voler risalire alla contrapposizione tra modelli autoritari (inquisitori) o di maggiore apertura (accusatori).
È inevitabile che le trasformazioni della società abbiano influenzato i rapporti tra la politica (la legge) e la giustizia, nel contesto della più diffusa crisi generale di segmenti importanti della coesione sociale che per lungo tempo hanno costituito gli assi portanti del sistema.
Senza possibilità di approfondire i diversi profili – anche perché il dato appare largamente condiviso – non può negarsi che siano entrati progressivamente in crisi, seppur in diversa misura, i partiti politici, la famiglia, la scuola, la chiesa, il sindacato. Pertanto, la ricerca di nuovi punti di equilibrio, si sta presentando difficile e comunque l’individuazione di un nuovo baricentro o di un assestamento equilibrato si prospetta difficile e non raggiungibile a breve termine.
È evidente come queste profonde trasformazioni determino una fase di transizione nella quale si alternano accelerazioni e riflussi, rigetti e spinte evolutive e come tutto ciò finisca per confluire in quel particolare prodotto dove i vari elementi devono trovare una sintesi: la legge.
Il dato inevitabilmente investe quel particolare profilo costituito dal rapporto tra l’autorità ed il singolo cittadino: la legge penale.
È inevitabile, cioè, che le riferite criticità si riverbino sul prodotto legge, che perde molte delle connotazioni che l’avevano e dovrebbero connotarla; chiarezza e completezza, solo per citarne alcune.
Il tema è reso ulteriormente complesso dal proliferare delle fonti normative e dalla frammentazione dei luoghi della loro produzione non disgiunti dalla presenza di magistrature (Corti) chiamate alla loro applicazione.
La crisi di sistema è ulteriormente accentuata dal diverso ruolo che le varie fonti normative sviluppano nei loro reciproci rapporti di subordinazione o di sovraordinazione.
Il dato è reso più complesso dal fatto che le norme che “accompagnano” il dato normativo (Carta di Nizza, Trattato europeo, Corte europea dei diritti dell’uomo) e le stesse norme costituzionali esprimono valori e principi, suscettibili – nel tempo – rispetto alla loro formazione originaria, non solo di un continuo arricchimento, ma anche sottoposte a letture, se non contrapposte, certo diverse e controverse, considerati i diversi approcci politici, culturali, sociologici con i quali vengono declinati. Questi elementi confluiscono naturalmente nelle decisioni dei giudici che sono chiamati a riconoscere ed a tradurre quei valori e quei principi nella specificità della vicenda concreta sulla quale sono chiamati ad esprimersi. Si tratta di principi e valori che integrano la norma ordinaria ovvero, nella misura in cui confliggono con essa, prospettano, nelle sede deputate ad assicurare interpretazioni conformi, l’intervento interpretativo più rispondente.
A fianco alla legge, negli interstizi dei dati normativi, nell’interpretazione conforme del dato evolutivo, il ruolo del giudice si dilata e le sue decisioni assurgono a fonte normativa, in una precisa dialettica tra le varie giurisdizioni, a volte stimolando la politica ad intervenire, a volte consolidando, in modo più o meno ampio, il dato giurisprudenziale, a volte coprendo i ritardi di una azione normativa che resta paralizzata nelle contrapposizioni ideologiche e culturali.
Di questi elementi, del diverso approccio a queste tematiche e della necessità di “ricostruire” il sistema anche sulla base di nuovi dati ed equilibri si ricomincia a prendere contezza.
Così, si prefigura il c.d. dialogo tra le Corti, già presente a livello interno, cioè, tra Corte costituzionale e quella di Cassazione che si cerca di estendere anche alla Corte di Lussemburgo e di Strasburgo, al fine di armonizzare, attraverso vari strumenti normativi, i diversi approcci alle questioni e alle soluzioni. Così, recependo il diritto vivente, si certa di assicurarne la stabilità e il rafforzamento della funzione esegetica, assicurando prevedibilità alle decisioni. Così, a fronte delle disomogeneità casistiche e dei modelli processuali ordinamentali di riferimento, si richiede un consolidamento dei dati, capace di prospettarsi come elemento di una certa solidità. Si tratta di strumenti con i quali si cerca di traghettare il vecchio sistema al nuovo modello attraverso la fissazione di nuovi equilibri reciprocamente compatibili.
Resta una domanda di fondo: la complessità rende le cose più confuse e più difficili da governare, ovvero il caos permette di capire meglio i termini del problema e di iniziare ad avviarli a soluzione?
Buona la seconda.