I protocolli operativi al cospetto della Suprema Corte

Christian Pallante - 07/12/2022

Cass. pen., Sez. VI, 24 febbraio 2022, n. 15140 – Pres. Fidelbo, Rel. Di Girolamo

In tema di indagini genetiche, l’eccepita inosservanza delle regole procedurali prescritte dai protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e prelievo del DNA non comporta l’inutilizzabilità del dato probatorio ove non si dimostri che la violazione abbia condizionato in concreto l’esito dell’esame genetico comparativo fondante il giudizio di responsabilità. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione di merito che aveva attribuito all’imputato l’utilizzo del guanto da cui era stato estratto il DNA, pur se il prelievo non era avvenuto con guanti sterili, stante la mancanza sul supporto di tracce riferibili a soggetti diversi).

Nella sentenza in esame, la Suprema Corte si interroga sulla spinosa questione relativa al rispetto dei protocolli operativi nelle attività di carattere tecnico-scientifico, ponendo l’accento sul delicato tema del repertamento di tracce fisiche al fine di estrarre il DNA.

Il caso di specie prende le mosse da una rapina, avvenuta all’interno di un’abitazione, ove le vittime sono state immobilizzate ed incappucciate dai rapinatori.

Sia il Tribunale che la Corte d’appello di Palermo condannano l’imputato in ordine ai reati di rapina pluriaggravata e false generalità.

Ricorre, quindi, per Cassazione il difensore dell’imputato lamentando una violazione della legge processuale e un vizio di motivazione, con riferimento all’art. 360 c.p.p., in materia di accertamento tecnico non ripetibile.

Più precisamente, l’imputato evidenzia, nella sua ricostruzione, alcune lacune investigative in merito all’individuazione ed al successivo repertamento di alcuni frammenti di guanti in lattice. Si discute, infatti, sul loro ritrovamento nel giardino dell’abitazione da parte di una delle vittime e dei carabinieri, in cui i frammenti sono stati maneggiati senza l’uso di guanti sterili.

Il punto centrale del motivo di ricorso è rappresentato dal rispetto delle linee guida e dei protocolli internazionali in materia criminalistica, con precipuo riguardo alle attività da esperire sulla scena criminis e all’analisi genetica. A tal proposito, occorre sottolineare che questi ultimi non sono connotati da valore vincolante, benché assurgano ad essere preziose indicazioni per gli operatori al fine di evitare possibili rischi di alterazione degli elementi individuati e raccolti. 

Investita della questione, la Corte si interroga sul valore dei protocolli e sull’applicabilità di questi atti non vincolanti nella valutazione probatoria da porre in essere.

La difesa chiede, quindi, l’esclusione dei frammenti, paventando una possibile contaminazione dei reperti, tale da mettere in dubbio i risultati dell’analisi del DNA. Secondo questa impostazione, vi sarebbe un mancato rispetto delle guidelines, le quali richiedono l’uso dei dispositivi individuali sul locus commissi delicti. Chiaramente, il risultato di un errore tecnico-scientifico, ovvero di una misconduct compiuta sulla scena del crimine o in laboratorio, inficia irrimediabilmente il valore probatorio di una traccia.

La Corte, riprendendo l’indirizzo sancito con la sentenza Knox (Cass., Sez. V, 27.03.2015, n. 36080, in CED Cass., n. 264863), ove “in tema di indagini genetiche, l’analisi comparativa del DNA svolta in violazione delle regole procedurali prescritte dai Protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e conservazione dei supporti da esaminare, nonché di ripetizione delle analisi, comporta che gli esiti di “compatibilità” del profilo genetico comparato non abbiano il carattere di certezza necessario per conferire loro una valenza indiziante, costituendo essi un mero dato processuale, privo di autonoma capacità dimostrativa e suscettibile di apprezzamento solo in chiave di eventuale conferma di altri elementi probatori”, consolida l’applicabilità dei protocolli nella valutazione degli elementi presentati in giudizio.

Con riferimento ai frammenti di guanto, i giudici riprendono la ricostruzione svolta dalla Corte d’Appello, in cui si motiva in maniera esaustiva che “il DNA [dell’imputato] è stato rinvenuto su tre frammenti di guanto e, su uno di questi, non vi erano tracce ulteriori riferite a soggetti diversi”. Con tale impostazione, la Corte ricostruisce il valore probatorio del reperto, sancendo quindi una sua non alterazione.

D’altra parte, i giudici di legittimità precisano che l’imputato non “ha dedotto se ed in che misura il prelievo dei frammenti sui quali è stato rinvenuto il DNA, senza l’utilizzo di apposite cautele (quali l’uso di guanti sterili), possa aver in concreto condizionato l’esito dell’esame genetico”.

Proprio sulla scorta di tali motivi, la Suprema Corte non può far altro che dichiarare infondata la doglianza, giungendo alla conclusione logica per cui la violazione del protocollo operativo o della linea guida rileva nella misura in cui si motiva la sua effettiva incidenza sul valore probatorio del reperto.

Non a caso, la Corte arriva ad affermare che “l’assenza di tracce, quanto meno su uno dei reperti, ha consentito, sulla base di un percorso logico immune da censure, di affermare che uno dei guanti era stato sicuramente utilizzato e toccato esclusivamente [dall’imputato]”, facendo emergere come la piena validità della prova genetica possa essere idonea a formare il giudizio di condanna.

 

 

Bibliografia essenziale

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