Data retention e diritto intertemporale
Cass., Sez. V, 7 giugno 2022, n. 36205 – Zaza, Presidente – Guardiano, Relatore – Passafiume, P.G.
Premessa. La sentenza in epigrafe affronta il tema legato all’acquisizione dei dati c.d. “esterni” contenuti nei tabulati telefonici a seguito dell’introduzione della disciplina di diritto intertemporale ex art. 1, comma 1-bis, d.l. 132 del 30 settembre 2021, come modificato dalla legge di conversione n.178 del 23 novembre 2021, in base al quale: “I dati relativi al traffico telefonico, al traffico telematico e alle chiamate senza risposta, acquisiti nei procedimenti penali in data precedente alla data di entrata in vigore del presente decreto, possono essere utilizzati a carico dell’imputato solo unitamente ad altri elementi di prova ed esclusivamente per l’accertamento dei reati per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell’articolo 4 del codice di procedura penale, e dei reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone con il mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia o il disturbo sono gravi”.
Osserva la Cassazione: “in deroga al principio del tempus regit actum, i dati esteriori relativi alle comunicazioni telefoniche (con ciò intendendosi, [..] i numeri di chiamante e chiamato, data, ora, durata, compreso il luogo), acquisiti prima del 30 settembre 2021, in base a decreto motivato del pubblico ministero (modalità legittima secondo la legge in precedenza vigente), possono essere utilizzati come elemento di prova a carico dell’imputato solo “unitamente ad altri elementi di prova” e solo per l’accertamento dei reati che rientrano nella categoria già delineata “per il futuro” dal d.l. n. 132 del 2021”.
Il caso. La vicenda trae origine dal ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Salerno, confermando nel merito la sentenza emessa dal giudice di prime cure, aveva condannato gli imputati in relazione a una pluralità di furti aggravati in concorso commessi in danno dei titolari di una serie di farmacie.
Gli imputati lamentavano la violazione di legge ed il vizio di motivazione, ex art. 606 comma 1, lett. c) e lett. e) c.p.p., con riferimento al disposto dell’art. 1, comma 1-bis, d.l. 132/2021 come modificato dalla l.178/2021.
La Corte di cassazione, ritenuta la fondatezza dei ricorsi, disponeva l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
La decisione
La Corte di Cassazione sottolinea come, in deroga al principio del tempus regit actum, i dati esteriori relativi alle comunicazioni telefoniche (i numeri di chiamante e chiamato, data, ora, durata, luogo) acquisiti prima del 30 settembre 2021 a seguito di decreto motivato del PM, possono essere utilizzati solo “unitamente ad altri elementi di prova” e solo per l’accertamento di reati che rientrano nella categoria delineata dal d.l. n. 132/2021.
Osservano i giudici come il legislatore invece che agire sul piano sanzionatorio dettando un regime di inutilizzabilità, abbia inserito una regola “legale” di valutazione della prova alla stregua del parametro valutativo dettato dall’art. 192 c.3 c.p.p. in tema di chiamata di correo.
Siffatta intenzione legislativa viene rintracciata dalla Corte nella costruzione positiva della formulazione che, lungi dall’introdurre la sanzione dell’inutilizzabilità, stabilisce direttamente i limiti della valutazione della prova ai fini dell’adozione di una pronuncia che attesti la responsabilità dell’imputato.
I giudici sottolineano, infine, l’importanza di un corretto inquadramento dogmatico della regola dettata dal d.l. 132/2021 all’art. 1, comma 1-bis introdotto dalla l. n. 178 del 2021 nell’ottica del giudizio di legittimità, atteso che “l’inutilizzabilità della prova è deducibile dinanzi alla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 606 c.1 lett c), mentre la violazione di una regola di valutazione della prova può essere fatta valere solo a norma dell’art. 606 c.p.p., lett. e), (cfr. tra le altre Sez. 6 n. 4119 del 30/04/2019, Rv. 278196) cioè come vizio della giustificazione del giudizio di fallo”.
La inutilizzabilità, inoltre, è rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, mentre il vizio di motivazione deve essere sempre dedotto dal ricorrente.
La Corte conclude considerando come l’introduzione di una previsione che imponga standard più elevati di valutazione incide sui doveri motivazionali del giudice modificandoli. Sembra infatti che la novella, nell’ipotesi in cui il ricorrente abbia proposto un’impugnazione della sentenza di appello censurando l’assenza o la manifesta illogicità dell’apparato motivazionale relativo all’idoneità dei tabulati a provare la responsabilità dell’imputato, pur in assenza dello specifico riferimento al principio ex art. 1 comma 1-bis, imponga alla Corte di Cassazione di annullare con rinvio la sentenza impugnata.
Il Supremo collegio, pertanto, ha annullato con rinvio la sentenza impugnata sottolineando come nel caso di specie gli imputati a cui veniva contestata una pluralità di furti aggravati in concorso (fattispecie rientrante nel catalogo di legge), erano stati ritenuti responsabili unicamente sulla base dei dati relativi al traffico telefonico delle utenze a loro in uso. Più nello specifico, le emergenze processuali poste a base della motivazione riguardavano esclusivamente l’esistenza di contatti tra gli imputati nei tempi e nelle vicinanze delle farmacie in cui erano stati commessi i furti, circostanza da cui si desumeva la presenza dei ricorrenti sul locus commissi delicti.
Il novellato contesto normativo in cui si inserisce il caso di specie impone, come affermato dal Supremo collegio, una nuova valutazione dei tabulati telefonici alla stregua del parametro valutativo introdotto “per il passato” dalla l.178/2021 all’art. 1 comma 1-bis d.l. 132/2021.
L’evoluzione della normativa in tema di data retention
Il ragionamento del Supremo collegio prende le mosse da un approfondimento sull’evoluzione giuridica in materia di acquisizione dei tabulati alla luce del recente intervento legislativo attuato con il d.l. n. 132 del 2021 convertito con modifiche nella l. n. 178 del 2021.
I giudici sottolineano come, a fronte dell’originaria assenza di una specifica disposizione di legge che regolasse l’acquisizione dei tabulati telefonici, la giurisprudenza era divisa tra chi sosteneva la sufficienza dell’iniziativa della polizia giudiziaria; chi ribadiva la necessità del decreto del pubblico ministero o comunque la necessaria autorizzazione del giudice e coloro che, invece, auspicavano un’applicazione integrale delle norme dettate per l’intercettazione delle conversazioni (artt. 266 e 271 c.p.p.).
Il suddetto contrasto veniva parzialmente risolto dalla pronuncia della Corte Costituzionale del 1993 che, nell’intervenire con una sentenza interpretativa di rigetto, statuiva l’ontologica diversità tra le intercettazioni e l’acquisizione dei dati c.d. “esteriori” delle comunicazioni e, tuttavia, riconosceva anche a questi ultimi lo standard minimo di tutela ex art. 15 Cost. (“l’acquisizione dei dati “esteriori” delle comunicazioni è istituto diverso dalle intercettazioni (dunque sono inapplicabili le regole di cui agli artt. 266-271, c.p.p.,), purtuttavia esso ricade nell’area di tutela garantita dall’art. 15 Cost., si tratta di “tutela minima” che postula un provvedimento motivato della autorità giudiziaria, lasciando, in ogni caso, il legislatore libero di apprestare strumenti più incisivi”)[1].
Detta pronuncia, pertanto, poneva le fondamenta per l’applicazione di irrinunciabili garanzie a tutte le operazioni di data retention, pur nella consapevolezza che queste siano destinate ad essere oggetto di un bilanciamento tra le esigenze di tutela della segretezza come diritto inviolabile della persona e l’esigenza, sempre costituzionale, di prevenzione e repressione dei reati. (“nell’art. 15 Cost., “trovano protezione due distinti interessi quello inerente alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni, riconosciuto come connaturale ai diritti della personalità definiti inviolabili dall’art. 2 Cost., e quello connesso all’esigenza di prevenire e reprimere i reati, vale a dire ad un bene anch’esso oggetto di protezione costituzionale”).
In sintesi, ribadisce il Collegio: “la Corte Costituzionale ha stabilito, che, pur in assenza di una normativa specifica volta a tutelare la riservatezza delle informazioni e delle notizie idonee ad identificare i dati esteriori della conversazione telefonica (numeri del chiamante e del chiamato, data, ora, luogo e durata); l’acquisizione di tali dati deve avvenire nel rigoroso rispetto delle regole che la stessa Costituzione pone direttamente, con norma precettiva, a tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni (art. 15).”
La conseguenza di siffatte affermazioni è che l’acquisizione dei dati contenuti nel tabulato, che ineriscano non solo all’identità ma anche al tempo e al luogo della conversazione, può legittimamente avvenire “soltanto sulla base di un atto dell’autorità giudiziaria, sorretto da un’adeguata e specifica motivazione, diretta a dimostrare la sussistenza in concreto di esigenze istruttorie volte al fine, costituzionalmente protetto, della prevenzione e della repressione dei reati“.
A seguito della pronuncia della Corte costituzionale, le Sezioni unite, intervenendo sul contrasto relativo al regime applicabile ai tabulati telefonici hanno statuito che: “l’acquisizione dei tabulati telefonici soggiace alla disciplina delle garanzie di segretezza e libertà delle comunicazioni; è necessario un decreto motivato della autorità giudiziaria (pubblico ministero o giudice) in assenza del quale opera la sanzione di inutilizzabilità ai sensi dell’art. 191 c.p.p.; l’art. 191, c.p.p., si riferisce non solo alle prove oggettivamente vietate, ma anche a quelle formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati in modo specifico dalla Costituzione, come nel caso degli artt. 13, 14 e 15, in cui la prescrizione dell’inviolabilità attiene a situazioni fattuali di libertà assolute, di cui è consentita la limitazione solo nei casi e nei modi previsti dalla legge.”[2]
Questa pronuncia ha posto un ulteriore punto fermo fornendo una definizione del termine “tabulati”: “essi costituiscono la documentazione in forma intellegibile del flusso informatico relativo ai dati esterni al contenuto delle conversazioni; stampa che fa parte peraltro, secondo la tecnica informatica, del “movimento” dei dati gestito dall’ente concessionario del servizio, nell’ambito del flusso costituito appunto dall’ingresso-elaborazione-registrazione e stampa”.
Il Collegio, ripercorrendo le statuizioni di successive pronunce delle Sezioni unite[3], ha ribadito come, ai fini dell’acquisizione dei tabulati contenenti i dati esterni identificativi delle comunicazioni telefoniche conservati in archivi informatici dal gestore del servizio, sia sufficiente il decreto motivato dell’autorità giudiziaria non venendo in rilievo l’osservanza delle disposizioni relative all’intercettazione di conversazioni o comunicazioni di cui agli artt. 266 e seguenti c.p.p., e ciò in considerazione del diverso e minore livello di invasività dell’acquisizione.
Inoltre, le Sezioni Unite nella pronuncia del 2000 avevano evidenziato come l’assenza di un immediato controllo giurisdizionale del decreto motivato sia “sanata” attraverso la rilevabilità, anche di ufficio, dell’eventuale relativa inutilizzabilità, in ogni stato e grado del procedimento.
Dalle pronunce sopra richiamate la Corte ritiene che si possa evincere una definizione di “dati relativi al traffico telefonico”: si tratta di tutti quei dati che concernono gli elementi cd. “esteriori” della conversazione telefonica, comprensivi del luogo della chiamata. La Corte ritiene che si tratti di una definizione “in negativo” “nel senso che essa abbraccia tutti i dati di una conversazione telefonica, “esclusi” quelli attinenti al suo contenuto”.
In ordine agli interventi normativi, la Corte rammenta come la comunicazione telefonica goda di due statuti: la captazione del contenuto, ex artt. 266 – 271 c.p.p.; l’acquisizione di tutti i restanti dati (autori, tempo, luogo; la durata della comunicazione), ex art. 132 privacy.
Il Collegio evidenzia come sul tema della data retention sia recentemente intervenuta anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea[4].
La pronuncia europea contiene due importanti enunciazioni di principio circa la disciplina dei c.d. data retention ricavabile dall’art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009.
Invero, per una parte, la Corte di Giustizia ha sottolineato come la suddetta direttiva, letta alla luce degli artt. 7,8 e 11 nonché dell’art. 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, osti alla adozione di una normativa nazionale che consenta alle autorità pubbliche l’accesso a dati relativi al traffico o a dati relativi all’ubicazione, “idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull’ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate, per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, senza che tale accesso sia circoscritto a procedimenti aventi per scopo la lotta contro forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica”[5].
Per altra parte detta pronuncia evidenzia un’impossibilità, alla luce della direttiva europea, di optare per una normativa nazionale che “investa il pubblico ministero della competenza ad autorizzare l’accesso ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all’ubicazione al fine di condurre un’istruttoria penale, dovendo il controllo preventivo essere rimesso a un giudice o a una autorità amministrativa indipendente, comunque diversa dall’autorità richiedente”.
Detta evoluzione giurisprudenziale e normativa ha trovato una concretizzazione, a livello nazionale, con l’introduzione del d.l. n. 132/2021.
L’art. 1, intitolato “Disposizioni in materia di acquisizione dei dati di traffico telefonico e telematico per fini di indagine penale”, intervenendo sull’art. 132 del d.lgs. n. 196 del 2003, al fine di adeguare la disciplina nazionale ai principi enunciati dalla Corte di Giustizia, ha limitato la possibilità di acquisizione di tabulati telefonici e informatici a determinate forme gravi di criminalità ed ha, altresì, introdotto un controllo giurisdizionale ex ante sulla richiesta del pubblico ministero (o una convalida successiva in caso di urgenza).
A seguito della novella l’art. 132 al c.3 oggi prevede che: “entro il termine di conservazione imposto dalla legge, se sussistono sufficienti indizi di reati per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni determinata a norma dell’art. 4 c.p.p., e di reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia e il disturbo sono gravi, ove rilevanti ai fini della prosecuzione delle indagini, i dati sono acquisiti presso il fornitore con decreto motivato del giudice su richiesta del pubblico ministero o su istanza del difensore dell’imputato, della persona sottoposta a indagini, della persona offesa e delle altre parti private”.
La mancanza nel testo originario del d.l. 132/2021 di una disciplina transitoria aveva fatto sorgere un dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla compatibilità delle regole introdotte con i principi affermati dalla Corte di Giustizia[6].
Tuttavia, l’iniziale defaillance normativa è stata colmata in sede di conversione (l. 178-2021) dal legislatore che ha inserito il comma 1-bis all’interno dell’art. 1 d.l. 132/2021. Detta norma, introducendo un regime intertemporale per le acquisizioni effettuate in data antecedente al 30 settembre 2021, stabilisce che i dati relativi al traffico telefonico oggetto di acquisizione in un periodo antecedente all’entrata in vigore della novella “possono essere utilizzati a carico dell’imputato solo unitamente ad altri elementi di prova ed esclusivamente per l’accertamento dei reati per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell’art. 4 c.p.p. e dei reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone con il mezzo dei telefono, quando la minaccia, la molestia o il disturbo sono gravi”.[7]
[1] Corte cost. 11 marzo 1993 n. 81, in www.giurcost.org, 1993.
[2] Sez. Un., 13 luglio 1998, n. 21 in C.E.D. Cass. n. 211196.
[3] Sez. Un., 23 febbraio 2000, n. 6 in C.E.D. Cass. n. 215841; Sez. Un. 21 giugno 2000, n. 16, ivi. n. 216247.
[4] CGUE (Grande Sezione), 2 marzo 2021, C-746/18, H.K. c. Prokuratuur
[5] M. Aranci, L’acquisizione dei dati esteriori delle comunicazioni nel processo penale italiano dopo la sentenza H.K.: alcuni spunti di riflessione sulle prime applicazioni giurisprudenziali, in Legislazione Penale, 19 luglio 2021; L. Filippi, La disciplina italiana dei tabulati telefonici e telematici contrasta con il diritto U.E., in www.dirittodidifesa.eu, 20 marzo 2021.
[6] L. Luparia Donati, Data retention e processo penale. Un’occasione mancata per prendere i diritti davvero sul serio, in Diritto di internet, 2019; A. Malacarne, La decretazione d’urgenza del Governo in materia di tabulati telefonici: breve commento a prima lettura del d.l. 30 settembre 2021, n. 132, in www.sistemapenale.it , 8 ottobre 2021.
[7] L.Tavassi, Acquisizione di tabulati, tutela della privacy e rispetto del principio di proporzionalità, in www.archiviopenale.it , 20 gennaio 2022.