Corno d’Africa: prospettive securitarie e interesse italiano
Il Corno d’Africa, penisola incastonata tra Asia ed Africa e collocata tra il Mar Rosso e l’Oceano Indiano, copre un’area di circa 3.6 km² con oltre 170 milioni di abitanti. Nell’analisi che segue intendiamo il Corno d’Africa “classico”, ovvero quello comprendente Etiopia, Eritrea, Sudan, Gibuti e Somalia.
In virtù della strategica e privilegiata collocazione geografica, la regione funge, a partire dagli anni Duemila, da vero e proprio polo attrattivo nei confronti dei diversi attori e soggetti internazionali, pronti a sfidarsi nella più classica “proiezione di potenza” contemporanea (una nuova “Scramble for Africa”). Il Corno d’Africa, infatti, ha assunto una nuova valenza nello scacchiere geopolitico africano, essendo esso interessato da fenomeni e dinamiche rilevanti a livello globale, oltre ad essere caratterizzato da livelli compositi di vulnerabilità e da una sostanziale eterogeneità delle realtà che lo compongono. Il valore geopolitico del Corno è incrementato dalla copresenza di situazioni di instabilità, riconducibili a conflitti endogeni ed esogeni (il conflitto tra Eritrea ed Etiopia, la “questione sudanese”, la crisi somala e la prossimità al teatro di scontro yemenita), questioni politico-securitarie rilevanti a livello internazionale (terrorismo islamista e episodi di pirateria internazionale) e fenomeni umanitari (crisi migratorie, legate a insicurezza alimentare e fattori ambientali). Questa centralità geostrategica è ulteriormente incrementata dalle recenti scoperte effettuate nel sottosuolo cornoafricano, che interessano tanto il settore degli idrocarburi, quanto quello minerario e dalle previsioni di crescita economica[1]. Al contempo, ciò cozza con livelli molto bassi di sviluppo socioeconomico e di tutela dei diritti umani, dinamiche inter-tribali potenzialmente esplosive, fenomeni di neocolonialismo (declinabili in episodi di land grabbing e divide et impera, oltre alla ben più nota combinazione di hard e soft power) e una violenza latente, imputabile in parte ai deboli governi ed establishment cornoafricani. Questi fattori concorrono nel minare i già di per sé complicati processi di Nation building e State building, elevando la regione tutta a cruciale scacchiere geopolitico in ottica securitaria e umanitaria.
Ad oggi, infatti, il Corno rappresenta un crocevia “too important to ignore”, motivo per il quale diversi players regionali quali Monarchie del Golfo, Iran, Israele ed Egitto, sono direttamente interessate e impegnate a proteggere il proprio interesse nazionale mediante l’estensione della propria agenda politica nei territori dell’Africa orientale. Negli anni, questa ha assunto proporzioni sempre più globali, tanto da vedersi sfidare nell’area attori consolidati (come Unione Europea, Russia e Stati Uniti) o altri in costante ascesa (Cina, Turchia ed India su tutti). A tutti gli effetti un nuovo “Great Game” nel Corno d’Africa, che rischia di traslare nella regione dinamiche e tensioni esterne, esacerbando il contesto regionale e producendo un effetto spill over ad alto coefficiente esplosivo.
Per quanto riguarda l’interesse strategico italiano, il quadrante cornoafricano rappresenta un’area prioritaria di intervento, facendo parte della macroregione geopolitica nota come “Mediterraneo Allargato[2]”. Inoltre, i rapporti tra Roma e la regione del Corno sono di lunga data e non si sono esauriti nel solo rapporto coloniale, dal momento che la presenza italiana in loco conta anche numerose iniziative dell’AICS[3], oltre al ruolo strategico ricoperto dagli operatori delle ONG, dai volontari e dalla Chiesa[4].
Da un punto di vista istituzionale, a partire dal 2018, quando l’Italia ha riassegnato le truppe schierate in Iraq e Afghanistan alle missioni in Libia e Niger, l’allora Ministro della Difesa italiano Roberta Pinotti ha affermato le priorità strategiche italiane: “il cuore dei nostri interventi è il Mediterraneo allargato, dai Balcani al Sahel, al Corno d’Africa”[5]. Nel dicembre 2020 la Farnesina ha lanciato il “Partenariato per l’Africa”, un documento di policy rivoluzionario,[6] che individua le principali priorità di politica estera italiana nel Continente africano e che evidenzia la vocazione africana del nostro Paese, capace di abbinare sicurezza e innovazione con presenza militare ed umanitaria. Se a questa “svolta africana” sommiamo l’invio di forze speciali italiane nel Sahel per la Missione Takuba, la visita del Min. della Difesa Guerini in Gibuti e Somalia e quella del Min. degli Esteri Di Maio in Mali, appare chiaro come l’Italia aspiri ad un ruolo importante non solo nel Corno, ma in tutto il continente.
“L’Italia”, dalle parole del Viceministro Sereni, “per la sua collocazione geopolitica al centro del Mediterraneo e per gli storici rapporti con molti Paesi africani, rappresenta un ponte tra l’Europa e l’Africa”. Tali parole sottendono come sia arrivato il momento di contare di più, soprattutto in quel che resta del “Mare Nostrum” e successivamente nella sua declinazione “allargata”, mediante relazioni bilaterali e multilaterali, non solo con i diversi players internazionali, ma anche con le diverse organizzazioni regionali africane. Per raggiungere questo delicato ma cruciale obiettivo, l’impegno italiano deve avvalersi della giusta combinazione tra mezzi militari congruenti (come testimonia, ad esempio, la European Union Training Mission Somalia a guida italiana e la Missione antipirateria Atlanta) e policy olistiche e lungimiranti. Tale approccio, combinato con un più profondo dibattito sui veri interessi strategici italiani, è l’unico modo per garantire che l’Italia possa svolgere un ruolo di primo piano nel mantenere l’ordine regionale, tutelando l’interesse nazionale e offrendo una risposta condivisa alle sfide che il Corno e l’Africa pongono.
[1] Da gennaio 2021 è entrata in vigore l’African Continental Free Trade Area (AfCFTA), che porterà il Continente ad ospitare un mercato integrato di oltre 1,2 miliardi di persone, con un PIL di quasi 3,5 miliardi di dollari. Questa crescita economica, nella regione specifica del Corno d’Africa, è direttamente proporzionale all’aumento di popolazione e di opportunità di intervento in mercati in espansione.
[2] Il concetto di Mediterraneo allargato nasce dall’esigenza di definire quell’area, definibile anche “continente liquido”, che ha il Mare Nostrum come bacino principale, ma a sua volta collegandolo a tutti i mari e a tutte le aree che lo circondano e che, apparentemente, non rientrano nel suo ambito. Questo “continuum geopolitico” è in diretta relazione con l’“estero vicino italiano”, l’area rappresentata da un estremo nord-occidentale costituito dalla regione alpino-adriatica e da un estremo sud-orientale rappresentato proprio dal “Corno d’Africa allargato”, comprendente cioè non solo Somalia, Eritrea, Etiopia e Gibuti, Sud Sudan e Sudan ma anche Kenya ed Uganda.
[3] Con l’acronimo AICS si intende l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, ente pubblica preposto alla promozione dello sviluppo internazionale, dell’aiuto pubblico e del sostegno a emergenze umanitarie.
[4] Si fa riferimento al ruolo della Chiesa Cattolica in Sudan e Sud Sudan, come testimoniato di recente dal tentato omicidio del Vescovo Christian Carlassare.
[5] Ministero della Difesa, 15/01/2018 https://www.difesa.it/Primo_Piano/Pagine/cresce-impegno-area-mediterranea-dimezza-presenza-in-iraq.aspx
[6] Mai prima d’ora la Farnesina ha elaborato un documento di policy strategica dedicato all’Africa, presentandolo al massimo livello con la partecipazione del Ministro Di Maio.