“Bodycam” e “facial recognition”: i nuovi strumenti investigativi alla prova della privacy e del processo penale

Alessandro Valenti - 07/07/2022
  1. Con la circolare prot. 555/III-OP/DIV.1° del 18 gennaio 2022, il Ministero dell’Interno, dopo diverse fasi di sperimentazione, ha introdotto le “Bodycam” nella dotazione delle Forze dell’ordine impiegate nei servizi di ordine pubblico. Si tratta di videocamere indossabili, nella specie in occasione di eventi o manifestazioni pubbliche, per la documentazione audio-video di situazioni critiche per l’ordine e la sicurezza[1].

Per la loro valenza investigativa, e la conseguente capacità di scoraggiare disordini e aggressioni al personale di sicurezza, appaiono destinate a diventare strumenti imprescindibili in tutti gli scenari operativi più complessi[2]. Si pensi che l’avvio della registrazione non solo permette di ricomporre in modo ordinato la storia di disordini e violenze, a tutela di tutte le parti coinvolte, ma segna, di fatto, il momento nel quale si apre e contestualmente si chiude il sipario del processo.

I file audio e video, infatti, giustificano l’iscrizione di una notizia di reato a carico di persone note, ne consentono l’“arresto in flagranza differita” per i reati di cui si discute ai sensi dell’art. 10, comma 6 quater, d.l. 20 febbraio 2017, n. 14, e, per di più, come insegnano le Sezioni unite Prisco, varcano la soglia del dibattimento con la veste di “prova documentale” ex art. 234 c.p.p.

Tuttavia, la spiccata efficacia probatoria del mezzo è direttamente proporzionale alla sua incidenza nella sfera della riservatezza dei soggetti ripresi. Si pone allora la necessità di bilanciare gli opposti interessi in gioco, mediante una regolamentazione connotata da adeguate misure organizzative e puntuali limiti di natura tecnica.

 

  1. In merito alle misure organizzative, la circolare del Ministero che introduce questi dispositivi definisce un vero e proprio protocollo operativo, ispirato ad un principio di stretta necessarietà del mezzo e all’esigenza di controllabilità della catena del trattamento dei dati.

Il protocollo può essere così schematizzato: a) la registrazione viene avviata, dall’Ufficiale di pubblica sicurezza “responsabile del servizio” o di “un settore” o, in caso di sua impossibilità, dal Capo contingente o al Capo-Comandante, in caso di «concrete e reali» situazioni di pericolo per l’ordine e la sicurezza o quando siano perpetrati fatti costituenti reato, e va interrotta quando venga meno la necessità di documentazione; b) il “responsabile” può visionare immediatamente le riprese se ciò è necessario a soddisfare «urgenti esigenze operative, di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza»; c) al rientro dal servizio, un operatore autorizzato dovrà collegare le videocamere ad un totem multimediale, così da spostare i file in uno spazio di archiviazione accessibile alla Polizia Scientifica; d) andrà cancellata la registrazione avviata «in assenza del requisito della necessità» o «in previsione di situazioni di criticità non verificatesi»; e) i dati potranno essere conservati per sei mesi, salvo il caso di utilizzo a fini probatori nei procedimenti amministrativi o penali (andranno trasmessi all’Autorità giudiziaria in caso di fatti costituenti reato). La circolare prevede altresì le modalità di designazione degli autorizzati al trattamento e la necessità che il personale autorizzato sia previamente formato.

 

  1. Il più pregnante limite di natura tecnica lo ha individuato il Garante per la protezione dei dati personali, che, nel silenzio del Ministero sul punto, ha sottolineato che le “Bodycam” non possono essere impiegate per il “riconoscimento facciale”.

Come è noto, si tratta di una tecnica di identificazione biometrica, basata sull’intelligenza artificiale, che non richiede la cooperazione del soggetto, essendo effettuata da remoto attraverso algoritmi che consentono di comparare l’immagine che ritrae il target con quelle contenute in una banca dati. È una tecnologia che, tuttavia, presenta diverse criticità: funziona a base probabilistica, risente di fattori quali la qualità delle immagini, spesso funziona in modo opaco e valorizza, con effetto distorsivo, dati come il colore o i connotati della pelle. È dunque serio il rischio che il risultato del “giudizio tecnico” compiuto dalla macchina conduca a “falsi positivi” e a discriminazioni.

Le criticità si amplificano con il riconoscimento “in tempo reale” e in “luogo pubblico”, posto che in tal caso l’algoritmo potrebbe ricostruire l’identità di tutte le persone che si trovano nel raggio di azione del dispositivo e associarla alla partecipazione ad un evento o ad una manifestazione.

 

  1. Sono questioni note alle istituzioni europee e anche al Garante per la protezione dei dati personali, che le ha affrontate nel parere – al quale rinvia per le “Bodycam” – relativo al sistema ministeriale “Sari Real Time”, che, a differenza di quello espresso per il “Sari Enterprise[3], è stato negativo.

In particolare, il “Sari Real Time”, se fosse stato messo in funzione, avrebbe permesso, mediante telecamere installate in un’area circoscritta, di analizzare in tempo reale i volti dei soggetti ripresi e di confrontarli con una banca dati di immagini. In caso di corrispondenza, il sistema avrebbe generato un alert diretto alle Forze dell’ordine.

Per il Garante, costituendo un trattamento automatizzato di massa, che coinvolge i dati di cui all’art. 9 GDPR, tra i quali figurano quelli biometrici, nonché quelli idonei a rivelare le opinioni politiche o l’appartenenza sindacale, deve esservi una specifica regolamentazione, che in particolare, vista anche la ricorrenza delle disfunzioni sopra evidenziate, determini i criteri di individuazione dei soggetti che possano essere inseriti nella watch-list e dei casi in cui può essere utilizzato il sistema, tenga conto dei limiti delle tecnologie, «intrinsecamente fallibili», stimando le conseguenze per gli interessati in caso di falsi positivi, e assicuri la accuratezza del mezzo, per accertare che nei confronti di appartenenti a minoranze etniche esso sia pienamente adeguato.

 

  1. In dottrina ci si chiede se il sistema di riconoscimento facciale, valutato sin qui nella prospettiva di tutela dei diritti della personalità, abbia una valenza processuale[4]. In particolare, esclusa la possibilità di sussumere il mezzo in una prova tipica, ci si demanda se un software quale il “Sari” garantisca, ex art. 189 c.p.p., il rispetto della libertà morale e sia idoneo all’accertamento dei fatti; se, sotto tale profilo, abbia i connotati della “prova scientifica”.

Quest’ultima condizione, assorbente, è soddisfatta se supera la procedura di verifica (elaborata dalla Suprema Corte degli USA nel 1993 e recepita dalla Cassazione con la sentenza Cozzini) nota come “Daubert test”, secondo cui il giudice, per pervenire a tale conclusione, deve valutare l’accettazione della teoria nella comunità di riferimento, la pubblicazione in riviste specializzate, la controllabilità mediante esperimenti, l’esito dei tentativi di falsificazione e il tasso di errore.

Tenuto conto di quanto si è detto in merito alle caratteristiche dell’algoritmo, la risposta al quesito sembra al momento obbligata: fintanto che i giudizi robotici saranno inaffidabili, non potranno essere processualmente idonei a dimostrare in via esclusiva l’identità di un soggetto, ma dovranno essere convalidati mediante un accertamento tecnico antropometrico o supportati da riscontri, ottenuti a partire da questo prezioso spunto investigativo[5].

 

 

 

 

 

 

Bibliografia essenziale

 

Dottrina

Brusco, Scienza e processo penale: brevi appunti sulla valutazione della prova scientifica, in Riv. it. med. leg., 2012, 61 ss.; Cajani, I “nuovi strumenti di indagine, in AA.VV., Cyber forensic e indagini digitali, a cura di Aterno- Cajani -Costabile – Curtotti, Giappichelli, 2021; Caprioli, La scienza “cattiva maestra”: le insidie della prova scientifica nel processo penale, in Cass. pen., 2008, 3520 ss.; Conti, Scienza controversa e processo penale: la Cassazione e il “discorso sul metodo”, in Dir. pen. proc., 2019, 848; Dominioni, La prova penale scientifica. Gli strumenti scientifico-tecnici nuovi o controversi e di elevata specializzazione, Giuffrè, 2005; Mobilio, Tecnologie di riconoscimento facciale. Rischi per i diritti fondamentali e sfide regolative, Editoriale scientifica, 2021; Saponaro, L’impatto processuale delle immagini: fotografie e videoriprese, Wolters Kluwer, 2020; Tonini, La Cassazione accoglie i criteri Daubert sulla prova scientifica. Riflessi sulla verifica delle massime di esperienza; Torre, Nuove tecnologie e trattamento dei dati personali nel processo penale, in Dir. pen. e proc., 2021, 1042; Valli, Sull’utilizzabilità processuale del Sari: il confronto automatizzato di volti rappresentati in immagini, in IlPenalista, 16 Gennaio 2019; Vicoli, Riflessioni sulla prova scientifica: regole inferenziali, rapporti con il sapere comune, criteri di affidabilità, in Riv. it. med. leg., 2013, 1239.

 

Giurisprudenza citata

– Cass., Sez. un., 28 marzo 2006, n. 26795, Prisco, in Cass. pen., 2006, 3937;

Daubert vs Merrel Dow Pharmaceuticals, Inc. 509 U.S., 579, 113 S. Ct. 2786, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1996, 278;

– Cass., Sez. IV, 17 settembre 2010, n. 43786, Cozzini, in Cass. pen, 2011, 1713;

– Cass., Sez. IV, 18 giugno 2019, n. 39731, inedita.

 

Pareri del Garante per la protezione dei dati personali

Sistema automatico di ricerca dell’identità di un volto, 26 luglio 2018 [doc. web. 9040256];

Parere sul sistema Sari Real Time, 25 marzo 2021 [doc. web. 9575877];

– Parere sulla valutazione di impatto del Ministero dell’Interno relativo ad un sistema di telecamere indossabili (body-cam), da parte dei Reparti mobili della Polizia di Stato, per la documentazione audio e video di situazioni critiche per l’ordine e la sicurezza, in occasione di eventi o manifestazioni pubbliche, 22 luglio 2021 [doc. web. 9690691];

– Parere sulla valutazione di impatto relativa al sistema dell’Arma dei Carabinieri “C-CAM” per l’acquisizione, la gestione e la conservazione delle immagini realizzate nel corso dei servizi di ordine pubblico attraverso i dispositivi digitali portatili di videoripresa, 22 luglio 2021 [doc. web. 9690902].

 

Recenti documenti degli organismi internazionali

– Consultative Committee of the Convention for the protection of individuals with regard to automatic processing of personal data, Guidelines on facial recognition, 2021;

– European Data Protection Board, Guidelines 05/2022 on the use of facial recognition technology in the area of law enforcement. Version 1.0, 12 maggio 2022.

 

 

Scarica la circolare

[1] La circolare ministeriale unifica sotto il nome di “Bodycam” il sistema di videosorveglianza dei Reparti Mobili della Polizia di Stato e quello, del tutto analogo, dei Reggimenti-Battaglioni dell’Arma dei Carabinieri. Quest’ultimo, nella valutazione di impatto sulla protezione dei dati personali trasmesso al Garante prendeva il nome di “C-cam”.

[2] Sembra prossima la loro introduzione negli istituti penitenziari. Vedi Aliprandi, Cartabia: “Bodycam, al via dopo il parere del Garante privacy”, in IlDubbio, 19 maggio 2022.

[3] Consente di effettuare ricerche nell’archivio dei soggetti fotosegnalati (AFIS): inserita l’immagine, il sistema la elabora e restituisce l’elenco di foto segnaletiche somiglianti. Per il Garante è «un mero ausilio all’agire umano», che automatizza una ricerca che precedentemente richiedeva l’inserimento manuale dei dati.

[4] Constatiamo l’assenza di pronunce nelle quali la Cassazione ha affrontato il problema. Tuttavia, è significativo il passaggio contenuto nella sent. n. 39731/2019, ove si legge che il giudice di merito disattendeva la richiesta difensiva di procedere al riconoscimento mediante “Sari” «poiché la difesa non aveva in alcun modo documentato la valenza scientifica dell’anzidetta tecnologia».

[5] In questi termini, con particolare riguardo al “Sari”: Valli, Sull’utilizzabilità processuale del Sari: il confronto automatizzato di volti rappresentati in immagini, in IlPenalista, 16 Gennaio 2019.